Così la vede Al Gallo, scrittore e sceneggiatore che con Indian Napoli porta il noir nei vicoli più feroci della sua città. Nel suo romanzo, uscito per Ugo Mursia Editore per la Collana Giungla gialla, il rione Moro è una polveriera sotto una falsa calma: clan camorristici pronti a sbranarsi, una polizia che indaga tra compromessi e verità sfocate.
Lo incontriamo per parlare di come si intrecciano realtà e finzione, di quella sottile linea che separa—o confonde—buoni e cattivi, e di perché, nonostante tutto, crede ancora nei “vinti” che fanno il proprio dovere lontano dai riflettori.
Al, partiamo da te tre aggettivi per descrivere la tua produzione letteraria. Quali useresti?
Diretta, verace e, a volte, tossica per forza di cose.
Parliamo nello specifico del tuo noir: c’è un’altra città in cui la trama poteva essere ambientata perché la trovi simile nelle sue dinamiche a Napoli?
Forse alcuni eventi, o certe dinamiche, potevano prendere corpo a Roma, o magari Milano. Città grandi, tentacolari che a fronte di un centro ricco e gaudente, sono anche stipate di immense e solitarie periferie. Non lontanissime geograficamente, bensì “umanamente”.
Una frase mi è rimasta dentro: “Miezo ‘a via a volte vince chi, apparentemente, perde”. Spiegaci meglio.
Sì, è un paradosso concreto. Cedere, mollare la presa è un modo di vincere. E poi miezo ‘a via non si vince mai al cento per cento. È un compromesso necessario. Forse solo nel calcio, nello sport in genere, la vittoria può essere netta e incorniciata, mai nella vita di tutti i giorni.
Qual è la reazione dei napoletani che ti hanno letto?
Finora nessuno mi ha picchiato (ride), ergo positiva. A molti piace “leggere” la propria realtà attraverso le maschere dei personaggi. Però è anche capitato durante un firma-copie che qualcuno nell’udire le linee generali della trama abbia rifiutato a priori il testo dicendo: «Sono cose che viviamo». Appunto, “cose che viviamo”, voltarsi dall’altra parte serve a ben poco.
Viene indetto un casting per fare di Indian Napoli una serie televisiva. Chi interpreta chi attingendo ai volti più noti di attori e attrici del nostro Paese e non solo?
Mi piacerebbe che nei ruoli chiave ci fossero attori meno noti al grande schermo. Romano è giovane e quindi punterei su qualcuno che arriva fresco dall’accademia. Ajello potrebbe essere ben declinato da Gianfranco Gallo (anche mio omonimo! ndr). Forse il cattivo Peppe Del Gaudio potrebbe avere le fattezze di Marco Palvetti (il Salvatore Conte di Gomorra), poliedrico e iconico villain.
Insomma, per concludere, se non avessi fatto lo scrittore e sceneggiatore cosa avresti fatto?
Avrei continuato a “dirigere” l’attività di famiglia: il Bar Kikirikì (ride). Non so… ma di fondo credo – e spero – che scrivere sia l’unica cosa davvero buona che mi riesca.
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