Paola Minussi: “Il mio nuovo noir è una storia di ricerca, di coraggio e di fragilità, ma anche un viaggio dentro le sfumature del femminile e della giustizia”

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Paola Minussi, scrittrice, musicista e docente di chitarra classica alla Musikakademie di Basilea, con il noir “L’ultimo segreto di Via Volpi” (Bertoni Editore) affronta temi attualissimi quali la violenza di genere, il narcisismo patologico, il desiderio di controllo, la sorellanza, la giustizia e ci invita a osservare con lucidità il nostro tempo, ma senza spegnere la fiammella della speranza.

Ne parliamo meglio con lei in questa intervista.

 

Paola, il romanzo sembra interrogarsi sul confine tra giustizia e vendetta. Secondo te, oggi la giustizia riesce ancora a rispondere al dolore delle vittime?
Non sempre. O forse dovrei dire: quasi mai. Spesso la giustizia arriva tardi, o arriva in forma di carte e codici, ma non di ascolto. Rosa Carvalho, la protagonista, tenta di tenere insieme questi due piani: quello della legge e quello della coscienza. È una donna che osserva, che sente, che non chiude gli occhi davanti alle ferite. Penso che solo uno sguardo capace di empatia possa davvero accogliere il dolore e restituirgli senso.

 

L’indagine di Rosa Carvalho si intreccia a una riflessione sul potere e sul controllo nelle relazioni. Ti sei ispirata a fatti reali o tutto nasce dall’immaginazione?
Tutto nasce dall’immaginazione, ma l’immaginazione è sempre alimentata dalla realtà. È una lente che assorbe quello che vediamo ogni giorno. I rapporti di potere, la manipolazione, il desiderio di controllo sull’altro – o meglio, sull’altra – sono temi drammaticamente attuali. Rosa si muove in un mondo in cui la violenza non è solo fisica ma anche psicologica, sottile, insinuante. Non servono fatti di cronaca per scriverne: basta guardarsi intorno. Basta ascoltare ciò che accade dietro le porte chiuse, nelle stanze della quotidianità.

 

L’argomento sesso come viene affrontato nel libro?
In modo diretto, senza ipocrisie. Ci sono scene di sesso descritte con intensità e realismo, ma non raccontano il piacere o l’intimità condivisa. Raccontano il potere, il dominio, la prevaricazione. Mostrano un corpo femminile trasformato in territorio di conquista, in spazio da controllare. È un linguaggio forte, ma necessario: perché riflette una realtà che attraversa la nostra società, nel micro e nel macro. La disparità, la violenza contro le donne, la logica del possesso — tutto questo serpeggia nelle relazioni quotidiane, spesso invisibile, fino a esplodere nei femminicidi e nelle guerre. È la stessa dinamica di sopraffazione, solo con nomi e scenari diversi.

 

L’ambientazione tra Lisbona e Como crea un dialogo tra Sud e Nord, tra calore e introspezione. Quanto contano i luoghi nella costruzione della tua narrativa?
Moltissimo. Ogni città ha un ritmo, una luce, una propria voce, unica, inconfondibile. Lisbona, con la sua luminosità dorata e il tempo dilatato, si affaccia su un fiume che sembra un mare — il Tago, che i lisboeti chiamano “mare di paglia”. Como invece è più raccolta, intima, a volte immobile e quasi stagnante, immersa in una luce che cambia con l’umore del lago. Sono città che respirano, che entrano nei personaggi e li modellano.
Acqua, aria, terra, fuoco: sono i quattro elementi che attraversano la mia scrittura come vene sotterranee. In “L’ultimo segreto di Via Volpi” danno titolo anche a quattro capitoli, proprio quelli in cui il sangue torna a scorrere — come se la natura, più che l’uomo, ricordasse e pretendesse giustizia. C’è qualcosa di inevitabile, di antico, nel modo in cui la colpa e la violenza si ripetono: cambiano i volti, cambiano le città, ma restiamo sempre gli stessi.

In fondo, come scrisse Quasimodo, siamo ancora “quelli della pietra e della fionda”. Solo che ora le nostre armi hanno nomi più sofisticati.

 

Se dovessi consigliare a chi non ha mai letto un tuo libro perché cominciare, da quale opera partiresti e perché?
Certamente consiglierei “L’ultimo segreto di Via Volpi”, perché in questo noir racconto due luoghi che amo profondamente — Como e Lisbona — e affronto temi che mi stanno molto a cuore, esplorando le luci e le ombre dell’animo umano. È una storia di ricerca, di coraggio e di fragilità, ma anche un viaggio dentro le sfumature del femminile e della giustizia.
Poi, siccome il racconto breve è una forma che amo particolarmente, suggerirei “Até Segunda Feira. Ad maiora”, il mio racconto contenuto nella raccolta “A Lisbona non è mai lunedì” (Tuga Edizioni, 2022) dove ho potuto intrecciare alcune delle mie passioni più grandi: Lisbona, che, se non si fosse ancora capito, è la mia città dell’anima, e i Tarocchi, che per me sono un linguaggio simbolico e poetico, capace di raccontare l’invisibile.
E infine “Matrimonio vista lago”, la mia ultima creazione, selezionata dal Premio “Scritture di Lago 2025” per far parte dell’antologia dedicata alle opere ambientate nei laghi della regione insubrica. È un racconto ironico e leggero, ma anche sorprendentemente profondo, che guarda al mondo dei matrimoni dal punto di vista di una celebrante — ruolo che conosco bene, avendo celebrato tantissime cerimonie. Tra promesse solenni, location da sogno e momenti di tenera umanità, emerge un piccolo ritratto del nostro tempo: quello di un’epoca che, anche nei sentimenti più autentici, rischia di diventare schiava dell’angolo perfetto e del filtro giusto per Instagram.

Chi sono

Virginia, 32 anni, editor, consulente editoriale e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità, nelle realtà editoriali indipendenti e nella potenza comunicativa degli albi illustrati.

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