Cari lettori, la nostra Lina Morselli ci parla oggi di “Canta, spirito, canta” di Jesmyn Ward, edito NNEDITORE, in una lunga e meravigliosa recensione. non aggiungo nulla alle parole di Lina, godetevi questa recensione e l’incredibile storia della Ward.
Chiudiamo gli occhi e voliamo nel sud del Mississippi: la terra non è benevola, il caldo estivo è atroce, la polvere la fa da padrone; girate lo sguardo e vedrete boscaglie e recinti di animali. Qui non c’è la ricchezza che si accompagna all’idea dell’America, le case traballano in questo paese, piccolo, e con fattorie distanti fra loro, con un nome ancora francese, Bois Sauvage. Il vento porta il profumo del mare, davanti a noi c’è il Golfo del Messico, siamo davanti ai Caraibi, col loro carico di leggenda, i misteri delle macumbe e della santerìa, la luce che vi pesa sugli occhi e sulle spalle. Sulla cartina Bois Sauvage non c’è, eppure voi siete lì, è bastato chiudere gli occhi per trovarvi laggiù, a darvi da fare con la vita insieme a tutti gli altri. Ah, sì, gli altri: la maggioranza di loro, l’assoluta maggioranza, è di neri, neri, neri, quelli che non molto tempo fa erano schiavi dei bianchi. Già, perché qui siamo nel profondo Sud degli States. Adesso apriamo gli occhi, ed entriamo in questa storia.
LA TRAMA E I PERSONAGGI
Leonie è una giovane madre con due figli. Li cresce insieme ai suoi genitori, Pop e Mam, perché il marito, Michael, è chiuso nel penitenziario di Parchman, nel Nord dello Stato, dove i detenuti lavorano tutto il giorno in mezzo a un territorio spopolato e semidesertico.
La famiglia di Leonie è nera, mentre Michael è bianco, e ha rotto i rapporti con i suoi genitori, che non nascondono il loro odio da suprematisti e non accettano quella moglie. Tanto più che il cugino di Michael, durante un litigio a caccia, nel bosco, ha stupidamente e colpevolmente ucciso il fratello di Leonie. Mam ha un cancro allo stato terminale, ha ancora poco da vivere e il marito, Pop, è ben cosciente di rimanere il punto di riferimento per i nipoti, un ragazzo di 14 anni, Jojo, e una bambina di 3, Kayla. Un filo magico lega fra loro Leonie, Mam, Jojo, Kayla e anche Pop: tutti sentono scorrere in loro la sintonia con animali e piante, e tutti hanno singolari capacità: Pop costruisce amuleti, Mam conosce i segreti delle erbe, Jojo, Leonie e Kayla vedono i morti e parlano con loro. Ma Leonie non riesce a fare la madre, è invischiata nella sua solitudine, nell’incertezza del futuro, nella sua giovinezza sconsiderata e distratta, nell’attesa del marito, con il quale aveva imparato a drogarsi. Tutt’ora Leonie si droga, senza curarsi davvero di niente e di nessuno, accorgendosi di essere inadeguata, di essere giudicata dal figlio grande, che fa da padre, lui, alla sorellina, e della madre non si fida, mai. Finchè arriva la notizia della fine della pena per Michael, e Leonie decide di andarlo a prendere insieme ai figli e ad un’amica, a sua volta compagna di bevute e sniffate. A nulla serve l’opposizione di Pop e di Jojo: inizia il viaggio su una macchina piena di ogni cosa possibile, meno che di quanto sia veramente necessario. Durante il viaggio Jojo è l’unico che conserva la lucidità e il buon senso necessari per salvaguardare la sorellina dalle mattane delle due donne, e nel frattempo pensa che sta arrivando là dove anche il nonno Pop è stato rinchiuso da giovane. Pop era stato condannato sostanzialmente a causa del suo colore, ma era riuscito a diventare aiutante del galeotto incaricato di guidare i cani da guardia. Pop capiva i cani, e capiva anche il dramma di Richie, un ragazzino di 12 anni, nero, fragilissimo, anche lui condannato ai lavori forzati e oggetto di tutte le angherie degli adulti. Pop era riuscito a salvarlo da un tentativo di violenza, dopo il quale Richie aveva deciso di evadere, e si era ritrovato a correre con un altro evaso, ben più brutale di lui. La corsa era finita male per il compagno di fuga: era stato preso, torturato e bruciato dalle guardie e dalla gente di fuori, inferocita. Pop aveva assistito alla mattanza e aveva scoperto che il ragazzo era lì vicino, nascosto e terrorizzato. Pop sapeva che cani e uomini non gli avrebbero lasciato scampo, e aveva preso una decisione che avrebbe pesato su di lui per tutta la vita. Rivelerà la fine della storia a Jojo solo al suo ritorno da Parchman, su insistenza del nipote: Jojo vede lo spettro di Richie, lo vede solo lui, gli parla e sa che Richie non avrà pace se non saprà tutto sulla sua morte, perché è stata così terribile che lui non ne ricorda i particolari. Nello stesso giorno il fratello di Leonie ricompare a prendersi Mam, dopo essere stato evocato con un rito di sassi, terra e foglie, che la stessa Mam, con l’aiuto della figlia, ha voluto fosse celebrato, per arrivare a morire e mettere fine alle sue sofferenze. Il finale, che deve essere scoperto e gustato da chi legge, chiude la sinfonia di questa storia come un largo conclusivo, mentre il direttore d’orchestra tiene quasi ferma la sua bacchetta.
CONTENUTI E CHIAVI DI LETTURA
Questo è un romanzo pieno di eventi, sollecitazioni, scoperte, viaggi nello spazio e nel tempo, magie e fantasmi, il tutto magistralmente armonizzato da Jesmyn Ward, che qui raggiunge la piena maturità narrativa. Ci aveva già impressionato con il suo primo “Salvare le ossa”, sempre ambientato a Bois Sauvage, e ora scrive la seconda parte di una trilogia (il terzo volume è in traduzione) per narrare ciò che accade in un territorio: una metafora della storia degli States, oltre che percorso di verità e d’amore per la propria terra. Parlare del profondo Sud degli Stati Uniti significa affrontare situazioni ed argomenti che non sempre sono trattati in modo esaustivo sui manuali di storia nei licei, mentre appaiono più spesso nel giornalismo d’inchiesta. Mi riferisco al vissuto quotidiano di quell’affollatissima fascia medio bassa di popolazione nera, che qui si fonde con tradizioni e condizioni comuni a tutti i Caraibi: coscienza della propria subalternità, sbandamento sociale, razzismo, forte permanenza dell’elemento magico nella vita quotidiana. Questa è l’America lontana dai grattacieli di New York, dal sogno californiano, dai miracoli di Wall Street. Direi anche lontana da una coscienza politica, così come l’Europa la intende, perché diverso, qui, è l’approccio con le fasi della vita. Jesmyn Ward non sottrae nulla ad un recente passato capace di condizionare il nostro presente: qui è ancora vivo il conflitto fra bianchi e neri, qui il Sud resta diverso dal Nord, qui sentire l’energia di piante e animali vale quanto un successo, e il rapporto fra esseri umani comprende anche i morti. Leggendo si pensa al Messico, al Sud America, così vicino, e alle sue letterature ricchissime e barocche, che, come in Juan Rulfo, hanno spesso i fantasmi protagonisti con i viventi. Ma la scrittrice non cede alla facile tentazione di confondersi con le ritualità afro americane, si addentra nei disagi propri del suo tempo e va avanti: incertezza, allontanamento, droga facile, violenza, e soprattutto la strada, lo spostamento, il viaggio, che è entrato nei cromosomi di chi è arrivato in Nord America nel 1600, tanto da considerare la vita come un possibile percorso on the road, prima ancora che un radicamento.
COSA RESTA
La lettura è una cavalcata ipnotica, difficile abbandonare il libro sul bracciolo della poltrona, finchè non si giunge all’ultima pagina. Restano a lungo con noi Jojo, Leonie, i fantasmi del fratello e di Richie. Serve richiudere gli occhi per tornare indietro, nel nostro mondo, così diverso. Eppure qualcosa di profondo ci ha legato e ci lega a quei personaggi, a quel caldo appiccicoso: la loro profondità, l’amore semplice e buono di cui sono ricchi e che li conduce per strade sicure anche nei loro inferni. In questo la storia di “Canta, spirito, canta” diventa universale, vivi e morti uniti, per non perdere la tenerezza.
(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)
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