Cari lettori di LeggIndipendente, oggi condivido con voi la recensione di Lina Morselli. Il libro si intitola “Jón e le missive che scrisse alla moglie incinta mentre svernava in una grotta e preparava il di lei avvento e dei nuovi tempi”, è scritto da Ófeigur Sigurðsson ed edito da Safarà editore.
COSA ACCADE E A CHI
Jón Steingrìmsson (pastore protestante realmente esistito) è giovane e innamorato di Ϸorunn, vedova di un uomo, da molti (ingiustamente) ritenuto assassinato proprio dal nostro Jón. Quest’ultimo decide quindi di lasciare la sua innamorata, incinta del loro figlio, nello Skagafjördur per dirigersi verso la regione di Mýrdalur, e lì costruire una nuova vita e una nuova casa, dove accogliere la sua donna e i suoi figli. Parte col fratello e con un servo, ma corre il rigidissimo inverno tra il 1775 e il 1756, che obbliga gli uomini a ripararsi in una grotta, e lì aspettare l’arrivo della primavera. Il paesaggio sembra uscito da un film catastrofico di fantascienza, al bianco della neve si mischiano i colori della cenere, delle polveri e del fuoco del vulcano Katla, la cui eruzione resterà tra le più lunghe e peggiori della storia d’Islanda e d’Europa, contemporanea al grande terremoto con incendio che distrusse Lisbona. In quello che noi definiremmo il nulla cosmico, vanno e vengono un sindaco, ubriaco per quattro mesi all’anno, un monaco bambino scambiato per un troll, un gigante che viaggia con il suo bambino in spalla, come San Cristoforo, e porta la posta in destinazioni ai confini del possibile. Ma soprattutto grotta e tempo vengono condivisi con Bjarni ed Eggert, l’uno medico, per la precisione physicus generale, e l’altro mappatore e scienziato a tutto campo. Jòn e il fratello sono reclusi, aspettano che passi quel terribile inverno vulcanico, ma anche gli altri sono prigionieri nello stesso carcere, quindi non resta che riflettere, darsi da fare con la vita, senza perderla d’occhio. E non resta che scrivere lunghe lettere a Ϸorunn, le 28 missive racchiuse nel libro.
I PERSONAGGI NON PERSONE
Il vulcano Katla = Potente, ubiquo e incontenibile, arriva ad indossare le brache e a percorrere in lungo e in largo l’Europa, fino a raggiungere Lisbona, e lì guardarsi intorno, e capire che è il momento di tornare in Islanda.
Infusi e brennivin = Erbe, muschi e licheni, raccolti e messi a seccare, servono a curare là dove ignoranza e superstizione lasciavano spazio a incuria e malattie. Il brennivin (tuttora acquavite nazionale) è compagno fedele, e le botti vuote, opportunamente legate intorno alla vita, servono da galleggiante e permettono ai nostri eroi di insegnare il nuoto alla gente d’Islanda.
La Danimarca e l’Europa = Lontane, straniere eppure onnipresenti e oppressive, la Danimarca e l’Europa rappresentano un vincolo che gli islandesi proprio non vogliono. Pesce, barche, mare, vita, terra, bene e male devono diventare propri, singoli, autonomi, e per questo serve darsi da fare affinchè sia chiaro che l’isola e la sua gente vogliono fare da soli. Eppure Danimarca ed Europa sono depositarie di un nuovo sapere, e aprono mente e cuore a una miniera di mondi, soprattutto attraverso le lingue parlate e scritte.
Il latino = Niente meglio del latino rappresenta lo studio, la cultura, la filosofia, tanto che appare come luce di lucciola in quasi tutte le lettere di Jón. Poi può accadere che Gottfried von Leibniz diventi una donna (Guðfríður), e forse qualcosa viene frainteso nel grande fermento culturale dell’Europa settecentesca, ma qui entra in gioco l’ironia, senza la quale sarebbe ben più dura la vita tra ghiacci, vulcani, tempeste e vestiti ruvidi di lana a sette strati. Già, in questo libro l’ironia si taglia a fette e in molti casi si fa comicità.
Strumenti e oggetti = Bjarni ed Eggert si servono di barometri, termometri, orologi e soprattutto di una trivella. E’ un ordigno che ha qualcosa di infernale nel peso, nella forma e nel frastuono che produce. In pratica, è un rudimentale ma efficace sistema per ottenere i primi carotaggi nel ghiaccio e nel terreno. Ma il rumore prodotto dalla trivella è davvero insopportabile, scuote la struttura della caverna, destabilizza le attività e non serve neanche una benedizione speciale per rabbonirla. La trivella viene ribattezzata Triti, e imperversa sull’inverno islandese.
PENSIERI SPARSI
Ófeigur Sigurðsson ha suggerito nuove strade alla poesia islandese contemporanea e la sua prosa spesso diventa una prosecuzione della sua ars poetica, molte sono le pagine in cui la punteggiatura è sostituita dal segno /, a suggerire un andare a capo, tipico di una metrica. Ma quello che più sorprende è la scelta di un parlato fatto di termini che si perdono nel lontano passato e ne cito solo alcuni per maggior chiarezza: perciocché, onde per cui, mogliera, pulcritudine, tenacità, monasterio, … la qualità de’ suoi stivali … Poi c’è l’aspetto comico e ironico della narrazione, a sua volta tipicamente islandese, e per nulla messo in soggezione dalla classicità della scrittura. Colpisce la comparsa di molti personaggi tutti chiamati Jón, e non solo perché si tratta di un nome comunissimo: a volte sembra che il protagonista si moltiplichi in altri se stesso, o che voglia spiazzare il lettore, o che giochi sulla credibilità del suo racconto.
IL VIAGGIO E L’ATTESA
Il viaggio di Jón attraversa l’Islanda da Nord a Sud, su quelle che vengono tutt’oggi considerate strade impervie e pericolose. A maggior ragione quel suo viaggio in tempi lontani ci sembra leggendario e miracoloso. Ma questa storia ha molto da dirci al di là della sorpresa e dell’assicurato divertimento: spesso è necessario fermarsi, chiudersi in una grotta per sopravvivere, ma i progetti resistono, le distanze si superano, gli esseri umani sanno gli uni degli altri. Inutile quindi opporsi a forze più grandi di noi, meglio cercare di capirle, meglio approfittare per saperne di più, su tutto quanto ci circonda.
IL PREMIO EUROPEO E LA TRADUZIONE
“Jón” è vincitore dell’European Union Prize for Literature, cosa che avrebbe indotto il protagonista a scrivere almeno un’altra missiva: il premio prestigioso viene proprio da quell’Europa considerata dal nostro eroe come rapinatrice di risorse e soffocatrice del popolo islandese e della sua cultura!
Una cultura che da anni ci affascina, grazie a pubblicazioni preziose e intelligenti, ma soprattutto grazie alle straordinarie traduzioni di Silvia Cosimini, qui in stato di grazia. Certamente non è stato un lavoro facile, ma noi lettori dividiamo applausi e gratitudine equamente distribuiti fra Ófeigur Sigurðsson e la nostra traduttrice.
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