BEHROUZ BOOCHANI: iraniano confinato da 6 anni sull’isola di Manus vince prestigioso premio letterario

Behrouz Boochani

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Ha scritto un romanzo sulla chat di Whatsapp e quel romanzo ha vinto un premio da 100 mila euro. Ma Behrouz Boochani, 35 anni, curdo iraniano, non può ritirarlo perché imprigionato da sei anni sull’Isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, quel luogo che il governo australiano riserva ai migranti clandestini, che non hanno speranza di ottenere l’asilo.

CHI E’ BEHROUZ BOOCHANI?

Behrouz Boochani è un giornalista di etnia curda. Nel 2013 ha lasciato l’Iran dopo che diversi suoi colleghi erano stati arrestati. Il suo viaggio attraverso il sudest asiatico lo ha portato fino all’isola di Natale, nell’Oceano Indiano a sud dell’Indonesia, politicamente appartenente all’Australia e situata nell’Oceano Indiano a sud dell’Indonesia. Da lì è stato portato nel centro per rifugiati di Manus Island dove ha assistito a torture, crimini e violenze. E ha deciso di raccontarle via whatsapp. Dalla sua terribile esperienza è nato il libro “No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison“, premiato con il Victorian Prize for Literature.

IL ROMANZO SU WHATSAPP

Behrouz Boochani ha scritto il testo sul suo telefono e lo ha inviato da Whatsapp, messaggio dopo messaggio, al suo traduttore per due motivi: il primo perché la sua connessione era troppo poco stabile per permettergli di lavorare al computer.

Il secondo motivo è perché non si sentiva molto sicuro con le guardie e le autorità che avrebbero potuto attaccare on ogni momento la stanza dell’autore e prendere le cose di sua proprietà. Un telefono, in effetti, è molto più semplice da nascondere rispetto ad un computer.

L’OBIETTIVO DEL ROMANZO

Come ha dichiarato in un’intervista al The Guardian: “Non ho di certo scritto questo libro solo per vincere un premio. Il mio obiettivo principale è sempre stato far capire alle persone in Australia e in tutto il mondo come questo Paese abbia torturato persone innocenti a Manus e Nauru in modo sistematico per quasi sei anni. Spero che questo premio porti maggiore attenzione sulla nostra situazione, cambi qualcosa e ponga fine a questa barbara politica. Vorrei dire , inoltre, che questo premio è una vittoria. È una vittoria non solo per noi, ma per la letteratura e l’arte e, soprattutto, è una vittoria per l’umanità. Una vittoria per gli esseri umani, per la dignità umana – continua – Una vittoria contro un sistema che non ci ha mai riconosciuti come esseri umani. È una vittoria contro un sistema che ci ha ridotto a numeri”.

IL CENTRO RIFUGIATI DA MANUS

Il centro è stato chiuso nel 2017, ma i rifugiati sono ancora bloccati lì, impossibilitati a sbarcare in Australia. Questo perché la politica migratoria del governo prevede di non accettare nessuno che arrivi via mare. “Non è perché sono persone cattive” aveva detto il primo ministro australiano Malcolm Turnbull a Donald Trump in una telefonata trapelata, “È perché, per fermare i contrabbandieri, abbiamo dovuto privarli del prodotto. Così abbiamo detto, se provi a venire in Australia in barca, anche se pensiamo che tu sia la persona migliore del mondo, anche se sei un genio del premio Nobel, non ti lasceremo entrare”.

IL POTERE DELLA LETTERATURA

Boochani, nel discorso di ringraziamento, ha raccontato di essere riuscito a proteggere la sua identità costruendosi un’immagine mentale. Per ricordarsi chi era, le cose in cui credeva, mentre veniva umiliato, spogliato e maltrattato dagli operatori. Questo premio per lui “dimostra che le parole hanno ancora il potere di sfidare sistemi e strutture inumani. Ho sempre detto che credo nelle parole e nella letteratura. Credo che la letteratura abbia il potenziale per cambiare e sfidare le strutture del potere. La letteratura ha il potere di darci la libertà”. Behrouz continua ricordando che “sono stato in una gabbia per anni ma in tutto questo tempo la mia mente ha sempre prodotto parole, e queste parole mi hanno portato oltre i confini, mi hanno portato oltreoceano e in luoghi sconosciuti. Credo davvero che le parole siano più potenti delle recinzioni di questo posto, di questa prigione”. “Questo non è solo uno slogan di base. Non sono un idealista. Non sto esprimendo le opinioni di un idealista qui – continua – Queste parole provengono da una persona che è stata tenuta prigioniera su quest’isola per quasi sei anni. Una persona che ha assistito a una tragedia straordinaria che si svolge in questo luogo”.

Chi sono

Virginia, 32 anni, editor, consulente editoriale e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità, nelle realtà editoriali indipendenti e nella potenza comunicativa degli albi illustrati.

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