Alberto Büchi: un noir per non dimenticare Nassirya

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Alberto Büchi è tornato in libreria con “Non ti dirò mai addio, un noir serrato pubblicato da Arkadia Editore per la collana Eclypse.

 

 

Il protagonista è Andrea, ex carabiniere sopravvissuto alla strage di Nassirya, segnato da traumi e fallimenti – seppur romanzata in alcuni flash-back, per la ricostruzione storica dell’attentato avvenuto nel 2003 lo scrittore ha coinvolto e intervistato un tenente degli alpini che era presente ad Animal House quel giorno.

 

Andrea vive ai margini, con il solo cane Lizzie, quando la sua vita viene stravolta da tre eventi: il ritorno del Kosovaro, psicopatico che riemerge dal suo passato; l’arrivo di Fiamma, una ragazza di diciassette anni alla ricerca disperata dell’amica scomparsa tra droga e snuff movie; e le minacce di uno strozzino deciso a riscuotere un vecchio debito.

 

A distanza di ventidue anni da quel tragico 12 novembre 2003, un’intervista per ricordarne la ricorrenza e conoscere più da vicino l’opera.

 

Alberto, in molti noir il confine tra bene e male è labile, e i personaggi agiscono spinti da zone d’ombra interiori. Cosa significa per te scrivere un noir “morale”, dove il male non è mai assoluto ma umano?
Il male assoluto, come il bene assoluto, sono concetti che trovano difficile applicazione nella realtà umana. Talvolta un’azione apparentemente cattiva/discutibile è volta al raggiungimento di uno scopo più nobile ed alto. Ne è un esempio il comportamento di Andrea, a tratti violento nel tentativo di liberare Anna, l’amica di Fiamma. Un noir morale non è mai giudicante. Descrive la realtà nella sua bellezza, crudeltà e crudezza. Spero che la mia narrazione abbia creato terreno fertile per “opinioni” su ciò che è bene e ciò che è male e non giudizi che ricadono nella rigida dicotomia di bene o male.

 

Il tuo libro affronta temi che si intrecciano con la memoria e con il vissuto umano in situazioni di difficoltà. In che modo l’evento di Nassirya ha influenzato — direttamente o indirettamente — la scrittura dell’opera?
Cercavo, così come nei migliori noir in cui vi è un elemento sociale molto forte, e come suggerito dall’amico e mentore Pinketts, una ferita che fosse ancora aperta nella memoria del nostro Paese. Ho pensato di conseguenza che l’evento tragico del 2003 ad Animal House fosse un evento adatto. Il giovane soldato Andrea pienamente convinto del concetto di patria e di peace-keeping (per alcuni “esportazione di democrazia”) viene travolto dall’orrore che ancora influenza la sua vita da quarantenne. Nella mia stessa memoria quell’attentato compone un ricordo “irrisolto”. Ho avuto poi la fortuna dopo aver studiato ed aver fatto la prima stesura prima di conoscere un alpino presente il giorno dell’attentato in Iraq, un testimone. Egli mi ha aiutato a rendere tutta la parte in Iraq in “flash-backs” molto più realistica e cruda e storicamente corretta. In generale il vissuto umano in condizioni di difficoltà è quello forse più importante, perché ci segna, ci travolge, ci insegna a rimetterci in piedi e ci plasma… insomma è quello che trova più profondità nel nostro animo.

 

Nella tua esperienza, ritieni che le giovani generazioni siano consapevoli di ciò che accadde il 12 novembre 2003? Cosa si potrebbe fare per rafforzare questa memoria?
Non escludo che le generazioni più recenti (come i Millennials e la Gen Z) siano all’oscuro di quanto accaduto nel 2003. Allo stesso tempo, purtroppo, parliamo di generazioni che stanno assistendo a nuovi conflitti che vedono l’utilizzo di strumenti nuovi e più devastanti (es: l’utilizzo dell’intelligenza artificiale/droni nei campi di battaglia). Più che rafforzare la memoria (sempre comunque utile), sarebbe opportuno sviluppare nelle nuove generazioni un senso critico e delle riflessioni dalle quali possa scaturire un cambiamento concreto – si dice che l’unica certezza è che dalla storia non impariamo niente, magari le nuove generazioni smentiranno questo concetto creando un clima di pace e tolleranza. Sarebbe bello che il mio libro mantenesse aperto, ma senza dolore, questo evento così come facevano negli anni 80 i telefilm e serie tv e film anche importanti americani con la guerra del Vietnam, per esempio.

 

C’è un passaggio del libro che ritieni particolarmente legato al concetto di sacrificio, servizio o memoria?
Nel libro ci sono un paio di situazioni romanzate, ma pur sempre realistiche che non descrivo ora per non rovinare la lettura al lettore, in cui le forze dell’MSU arrivano a sacrificare la propria vita per salvare una popolazione di un villaggio locale. Inoltre, Andrea stesso incarna il sacrificio, il servizio e la memoria con le sue azioni, nonostante viva ancora di traumi. E poi ancora sacrificio, perché detesta vivere nel “sottobosco” criminale della città. Spostando il discorso lontano, ma non troppo lontano da Nassyria, vi è il personaggio di Laura, ex moglie di Andrea, che per esempio incarna l’amore che ancora prova per lui e che è disposta a sacrificare molto di sé del suo tempo e della sua vita (non senza protestare, però!).

 

Hai citato Léon di Luc Besson, Gaspar Noé e i maestri del noir classico come fonti d’ispirazione. In che modo il tuo background cinematografico influenza la tua scrittura e la costruzione delle scene d’azione?
Il cinema è il mio primo amore e considero Gaspar Noé come uno dei geni della cinematografia attuale. Il suo cinema, così come quello di Luc Besson o come Bruce Willis in “L’ultimo Boy Scout” (The Last Boy Scout diretto dal genio compianto Tony Scott – 1991) ne sono un esempio. Il lettore si divertirà a trovare altri riferimenti. Sono le citazioni di questo mio amore per il cinema in cui la violenza può apparire fine a se stessa ma porta a qualcosa di più grande e che inoltre rappresenta l’aspetto bestiale che l’essere umano può raggiungere in stati di stress e desiderio di vendetta. Si tratta spesso di una violenza “di difesa” che è una giustizia deformata, forse guastata, probabilmente fraintesa. Il cinema e la scrittura creativa, come la intendiamo oggi, proviene dell’influenza statunitense e con essa dobbiamo farne i conti e magari saperla riconoscere per alzare il nostro livello critico cinematografico, ma anche letterario. (questa non vuole essere necessariamente una critica).

 

In chiusura, ogni capitolo si apre con un brano musicale, spesso anni ’90. Che ruolo gioca la musica nel tuo processo creativo e come contribuisce a definire l’identità dei personaggi?
La musica è il linguaggio attraverso cui le nostre emozioni ci parlano. La musica nel processo creativo contribuisce a definire la cornice all’interno della quale i miei personaggi operano. La musica esalta le caratteristiche dei personaggi stessi e i testi a creare l’atmosfera necessaria (proprio come in un film).
Un esempio a riguardo è la scelta del brano “Deviazioni” di Vasco Rossi in apertura del capitolo in cui Andrea incontra il padre di Fiamma (personalità con delle “deviazioni” evidenti). Come se lo stesso Andrea o chiunque altro non ne avessero mai compiute o avute! Occhio che tutti guardano le vostre deviazioni!

Chi sono

Virginia, 32 anni, editor, consulente editoriale e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità, nelle realtà editoriali indipendenti e nella potenza comunicativa degli albi illustrati.

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