La recensione di “Fiabe islandesi”
Prima di addentrarmi nella recensione di “Fiabe islandesi”, vorrei fare una premessa dovuta. Essendo questa la prima recensione di un libro edito Iperborea, sono molto grata a questa casa editrice per la sua scelta editoriale perché, attraverso le sue pubblicazioni, Iperborea mi regala scritti e romanzi che mi avvicinano a quelle terre nordiche che ho sempre amato.
Questo paese, lontano e unico, ha una lunga tradizione di racconti legati a fiabe, miti e leggende. Queste storie, generalmente, venivano tramandate oralmente di generazione in generazione. Iperborea ha selezionato una serie di racconti preferendo attingere dalle primissime trascrizioni, per preservare il più possibile la storia e il messaggio legato ad essa.
Caratteristiche delle fiabe islandesi
Come noterà il lettore di “Fiabe islandesi”, queste storie sono slegate dal tempo e dallo spazio, l’unica nota temporale presente è “C’era una volta…”
Il paesaggio islandese è raccontato come magico, dove gli abitanti sono divisi in tre schieramenti. Questi schieramenti prevedono gli abitanti del “mondo nascosto” convivono (e si scontrano) con i poveri contadini e i componenti della famiglia reale, spesso indicati anche come “i signori delle terre”.
Non vi sono protagonisti, l’elemento che primeggia su tutto e tutti è proprio l’Islanda. Di questa meravigliosa terra sono descritti i mari, i fiumi e le grotte. Tutto questo è descritto in modo da rimarcare in modo deciso il rapporto esistente (seppure qualche volta dimenticato) con la Natura.
Il romanzo è caratterizzato dagli elementi classici delle fiabe: contadini poveri e oppressi che vivono subordinati ad un re che naviga nel lusso più sfrenato e lascia il popolo nella miseria. Ma ci sono anche prove da superare e uno o più antagonisti che cercano di mettere i bastoni tra le ruote.
Questa struttura si ripete in quasi tutte le fiabe che finiscono per essere molto simili tra loro, ma non per questo noiose.
Le fiabe islandesi più belle
Due fiabe in particolare mi sono piaciute particolarmente: la prima è “Bukolla e la fanciulla” per il modo nel quale viene descritta la trollessa, personaggio che, seppur inventato, non trova spazio in molti libri di fantasy; e la seconda è “Le mogli sempliciotte” che diverte per il modo in cui il marito sfrutta la stoltezza della moglie.
Una cosa che ho apprezzato molto è stata la scelta di inserire le note a piè di pagina. Questo permette al lettore di avere spiegazioni più approfondite dei temi, fornendogli dettagli interessanti riguardo la cultura islandese.
Una lettura scorrevole e piena di curiosità, di voglia di immaginare luoghi e personaggi che, grazie all’impronta lasciata nella traduzione non omettendo tracce della tradizione orale, può essere totalmente apprezzata e gustata e dove, un linguaggio accessibile a tutti, trasmette il senso profondo del singolo racconto.
Morale e conclusione
Per tutti i motivi qui sopra citati ritengo questo libro un piccolo gioiello nel quale, in alcuni casi, è la contadinella a salvare il principe, dove la sessualità ambigua del protagonista viene trattata con estrema tranquillità, dove le buone azioni vengono sempre ripagate e dove la fiducia ha un valore inestimabile.
È un libro che custodirò gelosamente per il futuro, quando dovrò leggere qualche storia della buonanotte ai miei figli.
“Ho divorato due corvi, due topolini, dodici puledri, tredici vitelli, un uomo, un cane, un bastone e cento pecore, ma potrei divorare anche voi!”
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