“Sapeva cosa significava stare a guardare il soffitto tutta la notte.
Non riuscire a far nulla. E invece adesso qualcosa si era acceso,
qualcosa lo aveva smosso dal torpore, come un avvenimento,
l’ultimo avvenimento.”
Il romanzo di oggi ci porta a visitare una provincia italiana come tante, Anapola, e i suoi abitanti che hanno affidato la loro vita all’azienda agricola della famiglia Lavoratori.
IL FIGLIO FORTUNATO DI ANAPOLA
Filippo Polenchi, l’autore di “Figlio fortunato” edito da 66THAND2ND, ci catapulta immediatamente nel dramma che ha colpito Anapola quasi come se volesse far provare al lettore le stesse sensazioni, le stesse emozioni e lo stesso, pesante e doloroso, stato d’animo dei personaggi che, pagina dopo pagina, ci presenta.
“Era il figlio fortunato e il giorno del suo undicesimo compleanno fu investito
e ucciso da un furgone frigorifero che percorreva la statale 68.”
Così inizia il romanzo e subito il lettore sente l’esigenza di scoprire di più sulla famiglia Lavoratori, sulla morte del loro figlio prediletto Elio e sul destino di Anapola. L’impressione che si ha è quella che non vi sia distinzione tra la famiglia Lavoratori e gli abitanti, dalla narrazione di Polenchi questi sembrano un’entità unica e, come un unico corpo, condivido le gioie e, in questo caso, i dolori più grandi che la vita ci chiama a provare.
VUOTO, SOSPENSIONE E DISINCANTO
“Figlio fortunato” è sicuramente un romanzo di vuoti. Il primo vuoto è quello lasciato dalla prematura ed improvvisa morte di Elio, considerato l’erede dell’azienda agricola della famiglia Lavoratori e, per questo, unica e grande speranza di un futuro migliore. A questo vuoto se ne intreccia un’altro: quello di Giona, un trentenne che torna da Roma ad Anapola, suo paese d’origine, dopo aver visto il suo sogno di diventare regista andare in tanti piccoli pezzi che ora, in qualche modo, sente conficcati nel suo cuore così in profondità da impedirgli di muoversi, di tracciare una nuova strada.
“Figlio fortunato” è anche un romanzo della sospensione e del disincanto per eccellenza. Negli ultimi anni, tra i tanti libri che ho letto, non credo di aver incontrato un romanzo capace di narrare il reale, il quotidiano e, più in generale, la vita in modo così profondo. Filippo Polenchi parla di una provincia italiana con l’intento di far luce su tutte le realtà di provincia; sembra quasi che abbia vivisezionato Anapola, scavando nelle sue diverse parti per analizzare ogni aspetto: dal paesaggio, alla vita degli abitanti, passando per la critica ad contesto storico-sociale statico. Il limbo nel quale vivono gli abitanti di Anapola, la condizione di incertezza riguardo il futuro, è rappresentata proprio da questa natura statica di Anapola costretta a vivere come sospesa tra un passato agrario che non è più in grado di dare sussistenza e un futuro industriale che non si è mai realizzato.
RIVENDICAZIONI
Ma “Figlio fortunato” non è un romanzo volto a sottolineare solo gli aspetti negati della vita di provincia. Giona in questo senso gioca un ruolo molto importante. In uno dei suoi lampi di possibilità è come se dicesse al lettore: “ok, Elio Lavoratori era la speranza di Anapola, l’erede di un’azienda vitale per questo paesino, ma Elio è morto ed ora che questo sogno collettivo è sepolto insieme a lui, resto io a poter fare qualcosa…” Non so se l’autore ha inteso così questo personaggio, ma questa è proprio la sensazione che ho avuto io leggendo i pensieri di Giona; da una parte la rivendicazione di un posto nel mondo e di un ruolo, dall’altra la flebile, ma pur viva, speranza di cambiamento.
CONCLUSIONE
Il romanzo di Filippo Polenchi narra l’atmosfera di afflizione che vive un piccolo paesino agricolo e il limbo generazionale dato dal continuo sentirsi inadeguati e disillusi. C’è da chiedersi, alla fine del romanzo, se figlio fortunato è colui che resta e vive in un contesto statico senza speranza, oppure è colui che va via… da Anapola, dalla vita, da tutto…
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