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Istanze Musicali – settembre 2024

A cura di:

Elena Bresciani

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Ho assistito alla Generale de’ Il cappello di paglia di Firenze al Teatro alla Scala ed è stato uno spettacolo davvero “gustoso”, opera ideale per esaltare lo studio dei giovani allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala.
Di solito chi non ha mai sentito un’opera e cerca un titolo “comico/brillante” opta per Il Barbiere di Siviglia; beh io vi dico Cappello di Paglia è una commedia degli equivoci corale ed esilarante, anche per un pubblico poco avvezzo all’opera lirica, somiglia ad una pièce di prosa e la musica di Nino Rota con il suo piglio da film entra immediatamente in sinergia con chiunque la ascolti. Una farsa in musica dove i tempi teatrali devono essere registicamente perfetti per far ridere ed in sintonia con la direzione musicale.
Risulta riuscitissimo il binomio fra la direzione impeccabile e guizzante del Maestro Donato Renzetti, grande Signore della musica e la regia intelligente e scoppiettante del giovane e geniale Mario Acampa che sposta la Parigi atemporale pensata da Nino Rota e dalla madre co-autrice del libretto negli anni Cinquanta.

 

 

Dichiara Acampa:
“Ho immaginato che il protagonista fosse un addetto alle pulizie di un cappellificio francese, la Chapellerie E. Rota & fils. Durante l’ouverture, mostro una giornata tipo di Fadinard, un uomo alla base della scala sociale, maltrattato dagli operai della fabbrica e infine picchiato da un cliente. Un pugno fatale gli fa battere la testa e da quel momento inizia il sogno. Quello che avviene nel corso dell’ouverture si svolge nella dimensione della realtà ed è di mia invenzione, il seguito è esattamente quello che è scritto nel libretto, ma letto nell’ottica del sogno di Fadinard. Un elemento concettuale importante è che l’artefice del sogno è la modista, che è la titolare della fabbrica e nella mia visione si chiama Ernesta, proprio come la madre del compositore. Lei, come un deus ex machina, farà muovere i personaggi che interagiscono con il protagonista per rendergli la vita impossibile”.

 

 

Insomma, tutto si apre con un episodio di Teatro nel Teatro di shakespeariana memoria. Geniale il tributo alla madre del compositore. La chapellerie di Rota è rotante e questo dà molto movimento sul palco ed aiuta a muovere con un linguaggio espressivo moderno anche il coro, la dinamica esterno/interno da casa delle bambole è esaltata da luci sapienti, costumi ammiccanti ed è stupefacente pensare che il gruppo di lavoro sia giovanissimo e appartenga all’Accademia, un plauso dunque a  Riccardo Sgaramella per le scene e Chiara Amaltea Ciarelli per i costumi. Completano lo spettacolo le coreografie in stile ville lumière di Anna Olkhovaya. Bravi tutti e molto organici fra loro nella collaborazione e nell’idea d’insieme.

 

 

Veniamo al cast che ho ascoltato, lo stesso della Prima. Innanzitutto, tutti cantano “in voce” alla generale così come dovrebbe essere, quindi, evviva! Grazie per aver cantato generosi.

 

 

Menzioniamo subito Daniel Bossi, bravo violinista dell’Accademia che interpreta Minardi, salutato da grande ovazione del pubblico. Belle voci nelle parti di fianco più piccole, anche questa una bella sorpresa!

 

 

Fadinard è Pierluigi D’Aloia, voce che mi appare inizialmente piccola, un po’ vuota nella prima ottava e troppo metallica (forse inizia a cantare un po’ “a freddo” o forse è l’emozione) ma, nel corso della serata si fa più consistente (da Passy in poi) e convince per acuti solidi e schietti, aderenza perfetta al ruolo, capacità sceniche e tempi musicali e teatrali di prim’ordine. Da rivedere assolutamente in altri ruoli alla Florez che spero “fiocchino” per lui dopo questa prova impegnativa.
Una menzione merita lo zio Vezinet di Paolo Nevi, bel colore rossiniano, squillo e pronuncia notevoli, bella verve scenica.
Fascinosa la voce e la figura scenica di Greta Doveri nel ruolo di Anaide, fasciata in un suadente abito color senape, perfetta scenicamente e vocalmente per il ruolo, con il suo bel timbro lirico caldo e rotondo che si fa ricordare, ci lascia immaginare un memorabile futuro in ruoli di primo piano.
William Allione come Emilio/Un caporale delle guardie è un lusso in parti così piccole per emissione a fuoco e ritmica musicale di prim’ordine.
Il Nonancourt di Huanhong Li mi piace moltissimo. Colore corposo, bello, fraseggio scolpito, volume ideale per il Teatro alla Scala. Divertente mattatore da ascoltare in ruoli drammatici auspico presto!
La baronessa di Champigny è Marcela Rahal e sono già una sua fan per lo splendido colore nel centro grave, chiaro-scuri affascinanti, tecnica vocale solida e acting convincente. Forse avrei osato un po’ di più nel ruolo “da caratterista” per renderlo più memorabile al pubblico, che a mio avviso le ha tributato meno applausi di quanti in realtà meritava. Ogni tanto bisogna essere maliziosi e ruffiani per conquistarsi il pubblico con i ruoli di “carattere” aggiungendo una visione propria a quella registica, ma questo viene con l’età ed il mestiere. Un ruolo di carattere può diventare indimenticabile ed è il motivo per il quale nel mio cuore c’era il Beaupertuis di Alfonso Antoniozzi e questo non ha giovato alla mia recensione di Vito Priante, un artista stimato, che apprezzo in altri ruoli, di bel colore vocale, che non ho trovato così a fuoco in questo ruolo, forse la voce era affaticata o raffreddata, ma io l’ho trovata non sempre ben proiettata e gli acuti spenti e un poco indietro, magari si è semplicemente risparmiato un poco durante la prova generale per la prima! Resta un grande professionista!

 

Tante le trovate intelligenti della regia nella scena di Beaupertuis. Bella l’idea di mettere la scena all’esterno con il bimbo che fa le corna a tempo di musica e la scena d’amore dietro alla finestra.
Gustosa la scena alle docce!

 

Laura Lolita Perešivana è una Elena con colore da Nannetta e filato facile, prima ottava rotonda ma un po’ in bocca, alcune posizioni un po’ dritte in acuto malgrado il bel colore e le belle intenzioni. Nella prima parte dello spettacolo avrà giocato anche l’emozione, perché stupiscono poi gli ottimi passaggi d’agilità ed anche il modo di recitare giocoso e divertito. Elena è molto divertente per esempio all’arrivo a casa della Baronessa nell’acting! Bellissimi i pianissimi nella preghiera al padre, con emissione un po’ dritta, ma suggestivi. 

 

Bello il coro femminile a due voci in “zitte pettegole” con Fan Zhou una modista con fascinosa figura cinematografica, colore non memorabile e un po’ troppo metallico, ma ottima proiezione e discreta sicurezza tecnica.

 

Altri piccoli pensieri a random:

– “Io casco dalle nuvole” con il telo trasparente e lo squarcio sulle nubi è una bella idea;

– Coristi e personaggi in platea che abbattono la quarta parete molto graditi, anche se in teatro è scappato qualche scongiuro (io per prima!) quando hanno aperto gli ombrelli ed ho temuto l’arrivo dell’ombrellaio;

– Belle le luci nella scena alla Strindberg del temporale, con tutti gli spettri di Fadinard insieme, quasi un momento drammatico e ci voleva, fra una risata e l’altra una pausa drammatica;

– Momento esilarante quando il cappello si ferma sul lampione! Ho riso sino alle lacrime.

– Le poche agilità in Nino Rota han sempre funzione teatrale interessante!

– Poetica la neve finale e il coro fuori scena.

 

Spettacolo memorabile! Grata.

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

“La teoria delle briciole” di Laura Moreni, un viaggio introspettivo alla ricerca di sé

La teoria delle briciole di Laura Moreni, pubblicato nella collana Narrativa da Bertoni Editore, è un romanzo che racconta la storia di una donna di nome Claudia, con una vita apparentemente ordinaria insieme al marito Giorgio e le loro due figlie, finché non viene sconvolta dall’arrivo di un uomo misterioso di nome Mino, con cui inizia una relazione clandestina.

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