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Paola Lanfranco: “I racconti delle eroine silenti possono attivare il cambiamento nel lettore”

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Psicologa, psicomotricista e da circa un ventennio impegnata in percorsi di consapevolezza del femminile, Paola Lanfranco dal 30 settembre è in libreria con Il coraggio di un sorriso, pubblicato da Rossini Editore.

 

Siamo certi che tutte le donne abbraccino le teorie del nuovo femminismo e si sentano appagate con una declinazione al femminile del titolo di studio o della carica svolta? Pensiamo davvero che per essere pienamente sé stesse le donne debbano emulare gli uomini? Oppure esiste una via diversa per trovare la propria strada, senza passare attraverso battaglie che individuano il problema nel maschilismo introiettato nella società maschilista?

 

Sono queste le domande a cui Paola Lanfranco cerca di dare risposta attraverso una raccolta di racconti le cui protagoniste sono donne che hanno avuto il coraggio di porre al primo posto i propri bisogni e aspirazioni.

 

Donne che hanno saputo affrontare e gestire i problemi apparentemente insormontabili, uscendone vincitrici. Nessuna di loro è famosa, secondo il concetto moderno di successo, ma il loro riscatto ha il potere di incoraggiare altre donne che vivono simili situazioni emotive.

 

Cosa ti ha spinta a scrivere questo libro?

Il desiderio di trovare una nuova via per imparare ad essere nella nostra pienezza senza doversi rifare a modelli e strutture mentali che potrebbero essere forvianti per la nostra crescita. Sono convinta che molte donne non si sentano riconosciute nel rispecchiarsi in influencer, attrici o donne in carriera. Credo che molte siano anche un tantino frustrate da questa società dove imperano scontri verbali, lotte di potere e disprezzo. Una società basata sulla conquista attraverso la devastazione, spesso simbolica, di colui o colei che percepiamo come minaccioso. Il movimento femminista è stato sicuramente molto importante per far emergere una diseguaglianza, ma è stato anche la causa, inconsapevole, di uno scontro fra i sessi che si ripercuote ancora negli animi di molte. Credo che le donne, almeno alcune, non si sentano nei “propri vestiti” perché la società ci ha allontanate dalla nostra essenza, illudendoci che per ottenere un riconoscimento dovessimo adeguarci ad un pensiero patriarcale.

 

 

Quali sono i “poteri dimenticati” del femminile? Come possono le donne riconnettersi a questa parte di sé per affrontare le difficoltà della vita?
Penso che i “poteri dimenticati” siano riconducibili alla capacità di accogliere, ascoltare e condividere. Doti che andrebbero risvegliate, in primis, con noi stesse e successivamente applicate nell’interazione con chi circonda. La società in cui viviamo ha accelerato la percezione del tempo e questo ha contaminato, inevitabilmente, anche la relazione. Secondo Rosa ciò ci ha condotti verso un non riconoscimento, ovvero le persone non si riconoscono più in ciò che fanno. Questo avviene perché il cambiamento è più veloce di quanto lo possiamo controllare e tutto ciò ci sovrasta. A livello relazionale siamo più inclini a relazioni fugaci che non ci permettono grande introspezione. Ecco perché sostengo che sia fondamentale riattivare questi poteri. Imparando ad ascoltare i propri bisogni deceleriamo il pensiero e le azioni. Ci concediamo il tempo di conoscere le istanze psichiche, le osservo, imparo ad ascoltarle e comprendo la loro origine. A questo punto siamo in grado di discernere ciò che è adatto alla crescita personale e ciò di cui non abbiamo bisogno. Impariamo ad ascoltare ed accogliere le paure, le ambizioni, le gioie e le tristezze e comprendere che il mondo esterno, spesso, non è l’origine del proprio malessere o benessere, ma tutto si origina dalla nostra capacità di ascoltarsi. Una volta che abbiamo preso dimestichezza con le istanze psichiche avremmo attivato, anche nella relazione, una nuova modalità percettiva che ci permetterà di porsi nell’ascolto empatico e questo porterà a voler condividere la nostra esperienza con l’altro attraverso un desiderio di condivisione e non uno sterile contrasto o poca attenzione.

 

In che modo la narrazione in prima persona e il racconto introspettivo aiutano il lettore a entrare in contatto con le protagoniste? Hai ricevuto feedback da lettrici che hanno trovato conforto o ispirazione nelle storie?
La scelta stilistica di narrare in prima persona è stata dettata dal desiderio di dare “anima all’anima” delle protagoniste. Mi sono immaginata ciascuna di loro raccontarsi all’interno di un cerchio di donne. È uno stile che permette di entrare più velocemente a contatto delle emozioni del lettore. Durante le presentazioni, si accendono dibattiti estremamente interessanti. Le persone, che hanno partecipato, hanno condiviso i loro pensieri e gli spaccati delle loro vite e questo mi rende estremamente felice; perché il bisogno di raccontarsi e condividere è comune. Basta un piccolo rintocco e si accende il desiderio di raccontarsi e condividere e sappiamo bene che, una volta attivato, il nostro cervello lo ricorda. Riuscire a ricreare quella magia non ha prezzo e ciascuno di noi, finita la presentazione, è tornato a casa con un pezzettino di consapevolezza. Quella consapevolezza che ti permette di comprendere che non sei sola, che il tuo fardello può essere condiviso e questa operazione ti permette di alleggerirlo. I feedback che ho ricevuto fino ad ora sono stati positivi. Chi ha letto il libro ha ritrovato forza e coraggio ed io sono felice per il risultato che hanno ottenuto.

 

Hai parlato di “dimensione selvaggia” e di “potere personale”. Come definiresti questi concetti? Che ruolo giocano nel percorso di guarigione delle protagoniste?
Quando scrivo o parlo di “dimensione selvaggia” e “potere personale” mi riferisco a quanto in psicologia viene definito attraverso gli archetipi. Ci sono due psicanaliste junghiane che scrivono di questi archetipi attraverso esempi molto chiari. La prima, credo sia nota a molti di noi, è Clarissa Pinkola Estées, che nei suoi libri introduce la figura de La loba, la Que Sabé, Colei che sa, la Grande Vecchia: tanti nomi per identificare un archetipo potente che risiede nella psiche più profonda della nostra anima. Si tratta dell’essenza selvaggia e antica che ci appartiene, che meritiamo, che è nostra di diritto. È il canto silenzioso del nostro cuore, quando questa forza vitale è nascosta, soffocata, addomesticata e attende. È il canto gioioso, vitale che ulula alla pallida luce della luna, quando è libera di esprimere la sua forza potente e inarrestabile. Si tratta di un lavoro solitario, lo sappiamo; dobbiamo raccogliere le ossa, dobbiamo cantare per riunirle, per ri-creare, per ri-trovare l’amore più profondo e totale, che è solo nostro; un amore che possiamo trovare solo dentro di noi.  L’altra psicanalista è Jean Shinoda Bolen, che, attraverso una magistrale rilettura delle divinità elleniche, ci introduce ad un potente lavoro introspettivo e analitico, permettendoci di riconoscere quali siano le dee che guidano la nostra psiche. È implicito che quelle che non sono così chiare nei nostri comportamenti, andrebbero conosciute meglio, per poter sperimentare nuovi punti di vista. I concetti che ho appena cercato di illustrare sono fondamentali per attivare il potere di guarigione. Attingendo al proprio canto, ciascuna delle protagoniste è riuscita a risvegliare la propria essenza e ripartire con un canto intonato alla propria dimensione psichica.

 

Per concludere, qual è la tua speranza per chi legge questo libro? Quale cambiamento vorresti ispirare nelle lettrici (e nei lettori)?
Tutte noi possiamo riconoscere i segnali che rattrappiscono la nostra psiche profonda. Spetta a noi e soltanto a noi attivare il cambiamento che desideriamo per la nostra vita. Le storie narrate possono essere considerate di medicina. Attraverso le emozioni e i tormenti psichici delle protagoniste è possibile attivare il volano del cambiamento del lettore. Ecco perché sostengo che la condivisione dei racconti delle eroine silenti possono attivare il cambiamento nel lettore. Sono tutte donne “della porta accanto” che possiamo percepire più vicine alle nostre esperienze. Nessuna di loro è famosa, ma è epico il cambiamento che hanno messo in atto nella loro vita. Un traguardo raggiungibile da tutti.

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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