Cari Amici, oggi intervisto per Voi Klaus Bellavitis.
Ho conosciuto Klaus Bellavitis in occasione di un comune concerto al Teatro Parioli di Roma, diversi anni fa, prima della pandemia, e sono rimasta colpita dalla sua tecnica di improvvisazione, dallo stile eclettico e dalla genialità musicale, per questo motivo ho deciso di raccontare a Voi, cari lettori di LeggIndipendente, il suo progetto “ritratti” e di farvelo conoscere meglio.
Dopo aver girato il mondo con la sua musica, il compositore, pianista e direttore d’orchestra Klaus Bellavitis approda in Italia con i suoi RITRATTI MUSICALI, rappresentazioni in musica dell’anima e della personalità delle persone.
Primo italiano a laurearsi al Berklee College of Music di Boston dove insegna per diversi anni, Klaus, soprannominato “Mr Sold Out”, pubblica nel corso della sua attività professionale più di 20 album, collaborando con musicisti del calibro di Walter Blanton,Gary Queen e Mike Tracy. Dopo diversi decenni di carriera internazionale, sceglie l’Italia come luogo per mettere i suoi talenti al servizio degli altri, attraverso un innovativo progetto che pone al centro musica ed empatia. Klaus riesce a catturare, grazie alle eccelse abilità musicali e compositive maturate negli anni e un’innata capacità di empatia, attraverso l’intervista emozionale, l’essenza della persona “ritratta” e a trasfigurarla in musica. Ne risulta una composizione unica, la cui melodia e armonia sono in grado di rappresentare l’animo dell’interlocutore, in un vero e proprio ritratto in musica.
Caro Klaus, raccontaci qual è stato il momento nel quale hai capito che avresti fatto della musica una professione.
Era intorno all’83, ero all’università, un periodo nel quale, nonostante la borsa di studio, avevo bisogno di fare un lavoro per sostenere le spese, l’affitto e per questo lavoravo in una gelateria, nella quale ho incontrato un giovane regista, David With Walker a cui feci ascoltare la mia musica che gli piacque molto. Visto che stava girando un film, mi propose di scriverne la colonna sonora. Fu la prima volta che mi pagarono per un lavoro nella musica, addirittura mille dollari, ne fui sconvolto. Capii che potevo vivere di musica, il valore della mia musica era monetizzabile e da lì cambiò tutto. Sono molto grato a quel periodo, anche quello che anticipa l’incontro con David, perché è stato grazie al lavoro in gelateria che comprai la tastiera Kurtsweil con violini ed effetti che mi permisero di creare la colonna sonora per il film di David, senza avvalermi di altri musicisti e dando così inizio alla mia storia professionale.
Il tuo grande lavoro internazionale, quali sono le tappe che hai nel cuore?
Sicuramente Boston è stata la mia culla culturale in gioventù, ma anche una culla emotiva straordinaria, la prima grande tappa del lavoro internazionale, il suo inizio perché il primo concerto con un’orchestra lo feci lì, ebbe inizio nella città americana il mio primo progetto discografico anche se poi lo andai a registrare alla Cat Skil Mountain, su una vetta innevata in compagnia del pianoforte. Un’altra tappa che ho nel cuore è Vienna, dove feci il primo tour al Porgy and Bess Jazz Club con la mia band non solo come musicista, ma anche come cantante, con lo spettacolo “Jazz and Magic”, grazie a una booking agency con cui lavoravo che aveva tra gli altri, nel suo roster, Robbie Williams al Porgy and Bess Jazz Club.
Ricordo una nostra telefonata di tanti anni fa, dovevi esibirti al Blue Note di Milano, come ci si prepara per i “templi del jazz”?
Ricordo anch’io quella piacevole telefonata. Per prepararsi a simili concerti, tra le mille paure che precedono il momento dell’esibizione, c’è l’alimentazione corretta dei giorni precedenti, fondamentale per le corde vocali, la memorizzazione musicale dei brani e anche l’esercizio dell’improvvisazione. In particolar modo, questo ultimo punto perché quando si suona e si propone a un pubblico il jazz, lo si riesce a fare al meglio solo se si riesce a mantenere un equilibrio tra studio, preparazione con l’improvvisazione e la massima spontaneità possibile. È quasi un paradosso: uno studio profondo congiuntamente a una spontaneità autentica. Bisogna così viaggiare nel periodo precedente in cerca di un equilibrio su tutti i fronti, vocale, fisico, psicologico. Una preparazione di cui non si ha quasi più memoria una volta saliti sul palco, trasportati dalla magia del momento.
Come è nata l’idea geniale dei “ritratti musicali”?
L’idea dei ritratti musicali è nata in maniera naturale, concretizzandosi solo alla fine di una salita faticosissima che mi ha portato finalmente ad avere la capacità di credere nel progetto, nel valore estetico e artistico musicale di un ritratto di questo tipo, unico nel suo genere. Da sempre creo musica improvvisata per le persone, lo facevo da giovane quando incontravo una bella ragazza o mi innamoravo, spontaneamente, senza credere o cercare un valore altro se non riportare un’emozione in musica. Solo con il tempo, osservando le reazioni dalla grande carica emotiva che suscitavano negli altri, ne ho imparato il valore. Per me era un flusso spontaneo che poteva essere osservato dagli interlocutori, per gli altri, qualcosa di profondo e significativo per la loro persona. Il valore di questo progetto viene proprio dalle emozioni delle persone rappresentate, oggi capisco la bellezza pura di una melodia specchio dell’anima di una persona.
Raccontaci come crei un “ritratto musicale”, so che parti dall’intervista emozionale … e che poi tutto si trasforma in un QR code impresso su un “gioiello da indossare” con il quale si riascolta la composizione, spiegaci tutto!
Il fulcro è sicuramente l’intervista emozionale e per farla ho davvero passato tanti stadi mentali, psicologici, ho dovuto guardarmi dentro, fare un gigantesco lavoro di introspezione e auto-consapevolezza e dopo decenni, anche grazie al lavoro di creazione di colonne sonore, riesco a carpire l’anima dell’interlocutore dalle sue risposte, dalle sue movenze, dai gesti che compie mentre risponde alle mie domande “emozionali”. Una volta realizzata l’intervista, creo istantaneamente una melodia al pianoforte, poi registrata in uno studio di registrazione professionale in formato Dolby Atmos per garantire un livello elevato da ogni punto di vista, compreso quello dell’ascolto. L’idea di creare un QR code viene dai tempi in cui viviamo, da internet che fa parte anche della mia storia personale, professionale, essendo stato il primo a portarlo in Italia nel 1992 con la mia società di allora, la Galactica. Diciamo che posso dire di aver contribuito a una storia che accomuna tutti e che ha permesso a questo progetto di essere compiuto, con il rimando al link del proprio componimento. L’ultimo elemento che chiude il cerchio è l’arte orafa che è presente grazie alla collaborazione con Carlo Patetta, mio socio e amico con un’esperienza pluriennale nel settore luxury.
A questo punto ti faccio una “intervista emozionale”: raccontaci 3 pregi e 3 difetti caratteriali …
Ai pregi posso faticosamente arrivare, ai difetti per essere onesto dovrei mettere almeno uno zero davanti al tre! I miei pregi sono sicuramente la creatività, la follia di abbandonarsi ad essa, di credere che tale creatività abbia un valore (forse non è sempre un pregio!) e il terzo è l’empatia, l’arte dell’ascolto che mi permette di entrare con grande curiosità, rispetto e desiderio nelle parole delle persone che decidono di raccontarsi. I difetti possono iniziare dalla A: arroganza. E poi difetti che sono quasi il rovescio della medaglia dei pregi. Infatti, se il mio animo d’artista mi permette di creare musicalmente, dall’altro lato mi porta a stare sempre con la testa in su, tra le nuvole con le dimenticanze e la non facilità nel confrontarsi con le difficoltà della vita che ne derivano. Il contraltare di quello che è forse un pregio, il mio essere romantico è dato dal perdermi facilmente in relazioni, innamorarmi con una grande semplicità, anche quando non ne vale la pena e la relazione non merita il mio tempo e le mie attenzioni.
Sono molto curiosa di scoprire piccole chicche del progetto “ritratti”: qualche ritratto “vip”? Hai immortalato qualche persona famosa? Quali ritratti ti sono rimasti nel cuore di più, qualche persona ti ha colpito particolarmente?
Ho sempre restituito molti debiti artistici, il primo fra tutti a Burt Bacharach che mi ha definito il Bacharach italiano, di cui ho grande stima. Poi Mario Biondi, Ronny Jones. Ci sono poi personalità che non ho mai conosciuto personalmente ma legate alla mia vita, come Bergoglio connesso alla storia della mia famiglia, come la morte di mio padre per mano dell’ex generale golpista del Perù. Mio padre lavorava con il precedente governo, aveva costruito 27 ospedali e fu ucciso dal governo dittatoriale peruviano, entrando a far parte del capitolo dei Desaparecidos uccisi fuori dal Perù. E Bergoglio ha salvato decide e decine di desaparecidos per cui sento un legame profondo, una connessione tra la mia e la sua storia. Quanto avrei voluto che avesse potuto salvare da questo omicidio efferato anche mio padre. Ho così dedicato a Papa Francesco un brano, un “ritratto musicale” che un giorno mi piacerebbe tanto consegnargli.
Parlaci della tua idea della musica e di come il tuo rapporto con gli USA ha influenzato questo tuo modo unico di fare jazz!
Mi piace pensare di essere un buon mix tra la musica italiana e la musica americana, di essere in qualche modo influenzato da entrambe queste musiche tra loro diverse e ho potuto osservare come cambia la percezione della musica in un italiano e un americano, avendo insegnato sia al Conservatorio Verdi di Milano sia alla Berklee College of Music a ragazzini e ragazzi tra i 12 e i 18 anni. Ho notato che gli adolescenti italiani quando si annoiano iniziano a tamburellare qualche musica, o con le dita o utilizzando qualche oggetto, sempre sul battere, quindi su l’uno e sul tre del ritmo. Gli americani invece battono sempre sulle varie, quindi sul due e sul quattro perché loro vivono la musica in questo modo, il loro riferimento è la musica jazz che ha la parte ritmica più forte sul levare. Noi, come italiani, viviamo la musica classica che ha la parte forte nel battere. L‘enorme differenza tra l’Italia e l’America è l’origine ritmica e io credo di avere una buona sintesi tra queste due realtà, oltre alla fortuna essendo italiano di possedere anche una buona melodia. La melodia italiana è sicuramente nata dal bel Canto Italiano, dal rendere lirica la melodia che si crea poiché abbiamo il canto nel nostro DNA e dunque la melodia sgorga in noi più facilmente dell’americano che a volte si forma anche attraverso delle melodie molto ostiche perché il jazz sicuramente è meraviglioso, ma ogni tanto le sue melodie sono quasi impossibili da canticchiare, le si può solo suonare con uno strumento.
Sei il “re del sold-out” … perché la tua musica attrae così tanto il pubblico secondo te?
È un termine eccessivo che non mi merito però son stato definito il “mister sold out” più di una volta e quindi accetto questo meccanismo che mi lusinga, ma senza avere la minima consapevolezza del perché la mia musica possa piacere. E ancora oggi mi domando se meriti il successo e il riconoscimento che ogni tanto mi vedo consegnato. Quindi per azzardare un’ipotesi forse è il mix di particolarità che ho come persona, di certo la preparazione sulla quale ho basato gran parte della mia professionalità ha aiutato, ma questo non sempre arriva alle persone, delle volte è più l’emotività che supera il tecnicismo. E io posso forse dire di possedere una grande intelligenza emotiva che applico nei rapporti umani da sempre e, in qualche modo,anche nei confronti della mia arte, dei miei musicisti e, nei confronti del mio vero e proprio capoufficio, il pubblico, che noi artisti dobbiamo sempre lusingare, proteggere, accudire.
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