È tornato in libreria il regista Leonardo Araneo con La linea di confine per la collana Narrativa di Bertoni Editore.

Siamo nell’estate del 2001, quella del G8 e delle Torri Gemelle. L’estate di Lei, in cui tutto cambia, nel mondo e nella vita di Alessandro. L’estate in cui fugge, da sé stesso e dai propri errori. Ma non si può scappare per sempre e così, vent’anni dopo, Alessandro, diventato nel frattempo uno scrittore di successo, è costretto a tornare a casa, a Trani, dove è cresciuto, e rivedere Andrea, Marco e Gabriele, i tre amici del liceo. Intrecciando la propria esistenza a quella di una famiglia di immigrati africani che gli ha occupato casa, Alessandro, col suo modo cinico e divertito insieme, sarà così costretto a fare i conti col proprio passato e con sé stesso. E scoprirà che, forse, ciò che conta davvero non è quel ch’è stato o quel che sarà, ma vivere la vita momento per momento, senza paura e senza riserve. Sempre lì, sulla linea di confine. Perché il mondo si salva una persona alla volta.
La linea di confine è un romanzo molto personale, come hai dichiarato tu stesso. Cosa ti ha spinto a scriverlo in questo momento preciso della tua vita e della tua carriera?
A dire il vero mi portavo dietro La linea di confine ormai da diversi anni ma ho deciso di pubblicarlo solo adesso guidato da una sensazione a cui nemmeno io saprei dare un nome, una sorta di necessità interiore. Forse perché anche io, a quarantacinque anni oramai suonati, mi ritrovo, come Alessandro, a fare un bilancio della mia vita e del mondo che mi circonda e mi chiedo: come siamo arrivati a questo punto? Dove abbiamo sbagliato? E siamo ancora in tempo per rimediare?
Il romanzo si apre nell’estate del 2001, un anno simbolico e drammatico. Perché hai scelto proprio quel periodo come punto di partenza della storia di Alessandro?
Perché, come giustamente osservi tu, credo sia stato un anno molto significativo. Le Torri Gemelle, il G8 di Genova, sono stati eventi diversi ma che hanno impresso una svolta netta alla nostra storia. Forse, anche se non ce ne siamo accorti, è stato proprio quello l’anno della nostra sconfitta, cioè della sconfitta di quanti pensavano che fosse ancora possibile costruire un mondo più equo per tutti.
Il protagonista, uno scrittore affermato, si trova a fare i conti con il passato, ma anche con una realtà inaspettata: la casa occupata da una famiglia di immigrati. Come si intrecciano questi due piani – personale e sociale – nel romanzo?
Alessandro ha passato gli ultimi anni della sua vita a guardar vivere se stesso, come diceva Gozzano ma all’inizio del romanzo una serie di eventi lo costringono a confrontarsi non solo con il proprio passato ma anche col mondo al di fuori del suo nido dorato di borghese benestante. Ho cercato di intrecciare gli spunti sociali legati attualità alla vicenda personale del mio protagonista in modo da poter parlare di quei temi che più mi stanno a cuore senza mai scadere nel predicatorio e, soprattutto, senza voler dare lezioni a nessuno.
La linea di confine si distacca dai tuoi precedenti lavori, più legati al thriller e all’horror. Com’è stato per te confrontarti con un registro narrativo più realistico e intimista?
Sicuramente molto impegnativo. Anche se i temi trattati in questo libro (le disparità socio economiche, l’alienazione sociale, la famiglia come nucleo problematico) erano presenti anche negli altri, qui li ho affrontati “fuor di metafora”, in maniera più diretta e la parte più difficile è stata evitare retorica, buonismo e moralismi di sorta, tenendomi lontano dalle soluzioni semplici e dalle risposte facili. Come per gli altri romanzi, anche in questo caso ho cercato di suscitare domande nel lettore, senza dare certezze.
Il messaggio finale del libro è un invito a vivere il presente, “senza paura e senza riserve”? Se sì, lo consideri un atto di resistenza o di riconciliazione?
Sì, il messaggio finale del libro è un invito a non arrendersi, a continuare a impegnarsi, ciascuno nel proprio piccolo, per rendere il mondo un posto migliore senza farsi spaventare dalle prospettive future che paiono tutt’altro che rosee né dai sogni che avevamo da giovani, dei quali non saremo mai all’altezza. Ed è assolutamente una forma di resistenza, l’unica possibile ormai, credo, mentre il mondo sembra sempre più sprofondare nel baratro dell’egoismo e della sopraffazione. Andare in direzione ostinatamente contraria, preoccuparsi degli altri, di chi ci sta intorno, non solo delle persone a cui siamo legati ma di chiunque. incontriamo. Insomma: vivere sulla linea di confine, perché il mondo si salva una persona alla volta.
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