Per diventare madre, Jessica Melluso ha dovuto prima imparare a sopravvivere al desiderio che non si realizza. Ginecologa e ex paziente, in “Storie di sopravvivenza per aspiranti madri” (Youcanprint) trasforma la propria fragilità in un racconto corale fatto di paure, tentativi e rinascite condivise con le donne che ha incontrato lungo il suo cammino.

Jessica, qual è la domanda più frequente che ti viene rivolta in ambulatorio?
A colloquio con le mie pazienti, la domanda che mi viene rivolta più spesso è una sola, anche se assume mille forme diverse: “Dottoressa… ma io riuscirò mai a diventare madre?”. A volte è diretta, altre volte è mascherata da quesiti tecnici —“Che probabilità ho?”, “Quanto tempo mi resta?”, “Questo valore è grave?” — Ma sotto c’è sempre la stessa paura, lo stesso bisogno di essere viste e capite. Non è una domanda solo medica.
È una domanda esistenziale, fatta di attesa, di confronti silenziosi, di speranze che si rinnovano e di delusioni che spesso non si dicono ad alta voce. Ed è forse la domanda più difficile a cui rispondere, perché richiede competenza scientifica, sì, ma anche rispetto, onestà e molta umanità.
Questo libro arriva propria dalla necessità di dare risposte?
Sì e No. Sì per spiegare in maniera semplice ed empatica il mondo dell’infertilità ed il percorso della procreazione medicalmente assistita in maniera comprensibile a chi viene improvvisamente catapultato da una diagnosi in un mondo tecnico fatto di protocolli e terapie quando fino a qualche mese prima sognava tra le braccia del partner di aver appena concepito una nuova vita con un semplice gesto d’amore.
E di spiegare ciò che spesso in ambulatorio non si trova il tempo, lo spazio emotivo o le parole giuste per affrontare fino in fondo.
E No perché il libro nasce prima di tutto dal desiderio di accompagnare chi legge là dove la medicina da sola non basta: nel tempo dell’attesa, nei fallimenti, nelle domande che restano sospese, nella solitudine che molte donne e molte coppie vivono anche quando sono circondate da professionisti.
È un libro che prova a rispondere non solo al “se” diventerò madre, ma anche al “come posso attraversare questo percorso senza perdermi?”
Con lo sguardo di un medico, ma con la voce di chi quel percorso lo ha vissuto sulla propria pelle.
Il percorso di PMA può consolidare l’amore e la determinazione di una coppia, ma può anche causare la rottura del matrimonio?
Il percorso di PMA è una prova profondissima per una coppia. Per alcune coppie diventa un’esperienza che consolida l’amore: ci si scopre alleati, capaci di sostenersi anche nei fallimenti, di tenere insieme speranza e realtà, di restare uniti quando il progetto genitoriale vacilla ma il legame resta solido.
Per altre, invece, la PMA può far emergere fratture già presenti o crearne di nuove.
Il corpo della donna diventa il luogo della terapia, dell’attesa, delle delusioni; i tempi emotivi dei partner spesso non coincidono; il dolore viene elaborato in modo diverso. A volte si smette di parlarsi davvero, si entra in una dimensione tecnica, fatta di protocolli e scadenze, e l’intimità si impoverisce. La PMA non distrugge un matrimonio da sola, ma può mettere la coppia di fronte a una verità scomoda: non sempre si riesce a restare uniti di fronte alla perdita ripetuta, all’incertezza prolungata, alla sensazione di fallimento.
Per questo è fondamentale riconoscere che la PMA non è solo un percorso medico, ma anche emotivo e relazionale. E che chiedere aiuto — come coppia o individualmente — non è un segno di debolezza, ma di lucidità e cura.
Esistono più forme di maternità stando alla tua esperienza?
Esistono molte forme di maternità, e non tutte passano necessariamente dal parto. La maternità come si intende comunemente è biologica, certo, ma può essere anche relazionale, simbolica, creativa, generativa.
È la capacità di prendersi cura, di nutrire, di far crescere — una vita, un progetto, una persona, un’idea.
Per alcune donne la maternità arriva attraverso un figlio partorito. Per altre attraverso strade diverse: l’adozione, l’affido, il lavoro di cura, l’insegnamento, la medicina, la creatività, la scrittura.
E per alcune non arriva affatto nella forma immaginata, ma questo non le rende incomplete.
Riconoscere che esistono più maternità non significa sminuire il desiderio di diventare madre biologica — che resta potente, legittimo, viscerale —ma allargare lo sguardo, soprattutto quando la vita obbliga a fare i conti con limiti, perdite e trasformazioni. A volte, accettarlo non è una rinuncia.
È una forma diversa di continuità. Ma io credo che prima di ognuna di queste forme la maternità parte dall’interno di ognuna…dal prendersi cura e amarsi: essere in primis madri di se stesse.
Per concludere, c’è una domanda che non ti è mai stata fatta su questo libro e a cui vorresti rispondere?
Nessuno mi ha ancora chiesto se ho condiviso questo libro con Alex, il mio ex marito. Sì, gliel’ho condiviso, ma non come un gesto di rivendicazione o di spiegazione tardiva, bensì come un atto di rispetto per una storia, la nostra storia, che, nel bene e nel dolore, è stata condivisa, tenendoci uniti e poi separandoci. Alex è parte di quel percorso.
Non come personaggio centrale, ma come presenza reale in un tempo della mia vita in cui l’infertilità non era solo una diagnosi medica, ma una frattura quotidiana, emotiva, relazionale. Il libro non è nato per accusare, né per riscrivere il passato.
Nasce per dare voce a ciò che spesso resta taciuto, anche all’interno di una coppia.
Condividerlo è stato un modo per riconoscere che quella storia è esistita, che ha lasciato un segno, e che meritava di essere raccontata con onestà e delicatezza.
Gliene ho parlato prima ancora di iniziare a scriverlo. Sentivo che non poteva essere una sorpresa, né un racconto fatto alle spalle.
Quella storia, con tutto il suo carico di dolore e di tentativi, non era solo mia: era stata vissuta insieme, anche se in modo diverso. Quando ho finito il libro, la prima copia del manoscritto l’ho regalata a lui, prima della pubblicazione.
È stato un gesto silenzioso, ma molto intenzionale: non per chiedere approvazione, bensì per riconoscere che una parte di quel percorso ci apparteneva entrambi.
La mia intenzione con il libro non è mai stata di esporre Alex ma solo testimoniare.
E per me era importante che colui che aveva condiviso quella fase della mia vita fosse messo al corrente, con rispetto, prima che quelle parole diventassero pubbliche.




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