“Penso di avere scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città.”
(Da una conferenza di Calvino tenuta a New York nel 1983)
L’IDEA DELL’ARCHITETTO KATRINA PUENTE
L’architetto Karina Puente, con studio a Lima, ha creato una nuova serie di opere illustrate ispirate al romanzo del 1972 di Italo Calvino, “Le città invisibili”. La sua collezione, consiste in collage misti, disegnati principalmente con inchiostro su carta, riunisce una sequenza di luoghi immaginari e immaginati – ognuno dei quali fa riferimento a una città descritta nel libro.
IL DISCORSO SULLA CITTA’
“Le città invisibili”, che immagina conversazioni tra l’esploratore veneziano Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, è stato determinante nell’elaborazione di approcci al discorso urbano e alla forma della città.
L’OPINIONE DI PUENTE
Secondo Puente, “ogni illustrazione ha un processo concettuale, alcune delle quali richiedono più tempo di altre”. Di solito, afferma l’architetto, “faccio ricerche, penso e faccio congetture su ogni città per tre settimane prima di fare schizzi”.
LA MOSTRA
Il lavoro di Puente è in esposizione a San Miguel de Allende, in Messico, dal 2 febbraio 2019. Puoi saperne di più sul progetto dal sito ufficiale di Puente qui: karinapuente
LA TRAMA DEL ROMANZO
Protagonista è Marco Polo che, alla corte di Kublai Khan, fornisce attraverso i suoi dispacci al Sovrano, le descrizioni delle città che vengono toccate dai suoi viaggi all’interno dello sterminato Impero: in queste narrazioni parla degli uomini che le hanno costruite, della forma della città, delle relazioni tra la gente che le popola e la forma architettonica delle città stesse.
Queste città però esistono solo nella mente del viaggiatore veneziano: Marco Polo infatti le descrive ora nei più minuziosi dettagli, ora valutando l’insieme, ma sempre guardando dove tutti gli altri non guardano, verso dettagli che ad altri paiono invisibili. Le città di cui Marco Polo racconta sono intese come mondi conchiusi: le città invisibili infatti non entrano in relazione tra loro.
Grazie al racconto è Marco Polo stesso che le “crea” mentre le racconta, così come per Calvino lo scrittore “crea” i mondi di cui tratta. Le città invisibili è infatti un romanzo metanarrativo, in quanto porta il lettore a riflettere sui meccanismi stessi della scrittura. Numerosissimi gli spunti che il romanzo offre; anzitutto il rapporto che corre tra lo Straniero e la terra straniera in cui si trova.
Altro tema interessante è quello, doppio, della comunicazione e del linguaggio: Marco Polo ha infatti difficoltà, inizialmente, a parlare la lingua del Monarca e così si esprime a gesti e versi per descrivere le città visitate. Successivamente Marco Polo, imparata la lingua, si esprime in maniera più fluida, eppure sentirà la maggior difficoltà di esprimersi in un modo in qualche modo mediato e non più diretto.
Altro punto di riflessione è il rapporto tra il Sovrano e l’idea di ordine che egli stesso cerca di realizzare sulle terre dei suoi domini: il Khan ora è terrorizzato dalla vastità del suo impero e dalla impossibilità di poter dettare un ordine, ora è rassicurato dall’equilibrio degli opposti che in esso si muovono.
Altro tema costante nel testo, è il rapporto tra Marco Polo e il Gran Khan, che sottintende la dialettica contemporanea tra media e fruitore: il Khan ascoltando i racconti di Marco, pur amando il modo col quale Marco Polo racconta, non sa se credere o meno alle sue parole, e non sa fino a che punto la sottigliezza del suo Messo sfoci nella pura invenzione.
Si può anche notare che, seppur ambientato all’epoca di Marco Polo, nel romanzo sono presenti numerosi riferimenti ad elementi del mondo contemporaneo, come città (Los Angeles, per dirne una) e strutture (ad esempio aeroporti) che all’epoca non esistevano.
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