Cari lettori, oggi vi presento il romanzo “Quel poco che basta. Breve storia di un fallimento in atto unico” di Samuela Pierucci, edito da Intrecci Edizioni. Ho avuto anche il piacere di incontrare l’autrice e scambiare quattro chiacchiere con lei; qui sotto trovate l’intervista completa.
TRAMA
«Sono morto tre anni fa. Ricordo tutto perfettamente, tra l’altro. Non proprio i particolari precisi, a essere sincero, ma le circostanze sì, quelle le ho presenti». Quel poco che basta è la tragica storia, raccontata in chiave ironica, dell’amore e del fallimento di due ragazzi in cerca del proprio posto ne mondo. Seba e Nada si lanciano in un progetto di vita sballato e inciampano nel destino. Le loro vicende personali, le loro scelte, in apparenza leggere, e i loro fragili sentimenti di giovani innamorati si rivelano strettamente intrecciati, loro malgrado, alla Storia con la s maiuscola. Quella dell’undici settembre che ha cambiato il volto del mondo e che contribuisce, in questa narrazione dall’impostazione teatrale, a mettere un prematuro punto al programma semirivoluzionario di due esistenze insoddisfacenti.
INTERVISTA
1) Il titolo del tuo romanzo “Quel poco che basta. Storia di un fallimento in atto unico” catapulta il lettore in una storia che, fin dall’inizio, non lascia spazio alla speranza. Il ruolo del fallimento è incarnato dalla coppia protagonista del romanzo, Seba e Nada. Raccontaci la loro storia.
Sebastiano e Nada sono due ragazzi poco più che ventenni che cercano il loro posto nel mondo. Lui prossimo alla laurea, lei più incline all’avventura. Vivono una storia d’amore breve e molto intensa che però si fonda sulla menzogna: ognuno di loro ha taciuto all’altro un aspetto fondamentale di sè stesso. Tutto questo, e soprattutto una scelta di vita futura molto radicale e piuttosto avventata, non potrà che avere conseguenze drammatiche.
2) Nel tuo romanzo vengono affrontati molti argomenti interessanti, ma c’è un tema che sembra spiccare sopra gli altri: l’attacco al mondo occidentale rappresentato dal fatidico giorno dell’11 settembre 2001. Come mai hai scelto di ambientare la storia in questo contesto?
L’11 settembre 2001 mi trovavo dall’altra parte del mondo, in Brasile, e avevo più o meno la stessa età dei protagonisti. Ho voluto far rivivere ai miei personaggi una parte della mia esperienza passata perché per me è stata una sorta di spartiacque. Anche Seba e Nada sono di fronte a delle scelte, sono allo stesso tempo confusi, pieni di entusiasmo e spaventati. Nella narrazione, oltre al vissuto dei protagonisti e al gioco del “detto e non detto” che la anima, ho voluto introdurre il concetto di macrostoria come grande elemento spiazzante: l’11 settembre, un po’ come il difficile momento che stiamo vivendo, ha sconvolto i progetti di moltissime persone. Ecco quindi che ogni storia, dalla più piccola alla più grande, si intreccia e si consuma.
3) Un altro aspetto molto importante, sottolineato più volte nel romanzo, riguarda il peso delle scelte. I due protagonista della storia, Seba e Nada, compiono scelte che inevitabilmente si riveleranno controproducenti e li consegneranno al loro destino. Come è possibile affrontare questo peso e come, se è possibile, fare scelte sagge nella vita?
Piacerebbe anche a me avere la chiave della saggezza, ma credo che sia concessa a pochi eletti. Scherzi a parte, quello che volevo ribadire è che talvolta ci troviamo persi su una strada che abbiamo noi stessi voluto percorrere e che poi ci ha portati lontano dalla meta. Ci sono molti incroci e vie possibili ma quante volte facciamo scelte davvero consapevoli? Sono dettate dall’istinto o dal calcolo, e qual è la più giusta? Difficile rispondere. Ma sicuramente ad un bivio importante la decisione è solo nostra e non ci sono deleghe possibili, pena il fallimento.
4) Leggendo la tua bibliografia noto che questo è il secondo romanzo nel quale torni a parlare di alcuni temi in particolare: anche qui c’è la fuga come possibilità, si parla del libero arbitrio.
Penso che il concetto di fuga sia sempre stato sottovalutato e trattato come una opzione vile, vedi il ruolo che esso ha nell’immaginario bellico. In realtà io credo che in certe fasi della vita, in certe situazioni sociali o familiari, sia un’opzione assolutamente degna di rispetto. A volte o si accetta una realtà soffocante o da questa, banalmente, si scappa. Ci vuole coraggio anche per questo, come per qualsiasi altra scelta. Scappare può essere molto difficile e i miei personaggi lo sanno bene.
L’AUTRICE
SAMUELA PIERUCCI, originaria di un piccolo paese toscano, vive oggi a Sesto Fiorentino, e lavora come anestesista all’ospedale Careggi.
“Tutto è collegato” – dalle microstorie alla macrostoria – è il credo all’origine di Quel poco che basta, il suo secondo romanzo. Con Intrecci ha già pubblicato Vuoto fino
all’orlo.
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