Cari lettori, oggi vi consiglio la lettura di un romanzo sorprendente ambientato alla fine della Seconda Guerra mondiale. L’autore, Stefano Sciacca, ci regala una storia dall’atmosfera malinconica e disincantata capace di attrarre il lettore e appassionarlo alle vicende narrate. Il romanzo si intitola “L’ombra del passato” ed è edito da Mimesis Edizioni.
Ho avuto il piacere di scambiare qualche chiacchiera con Stefano Sciacca, trovate l’intervista qui sotto.
TRAMA
Torino. La seconda guerra mondiale è finita da poco. Artusio si trova nel giro di pochi giorni a lavorare su due casi paralleli. Franco Cairo è un reduce di guerra sentimentale: non ha più notizie della moglie Teresa e perciò lo incarica di ripescarla, anche se a giudicare dalla fotografia della donna non sembrerebbe proprio valerne la pena. A proposito di donne! Eva Valente è la cliente con le gambe più lunghe che Artusio abbia mai avuto: la poveretta ha perso il sonno a furia di rimpiangere il prezioso diadema appartenuto alla nonna e da questa impegnato pur di far fronte a un debito. Sarebbe quindi il caso di recuperarlo. Artusio è avido: entrambi lo pagano profumatamente e lui, gli occhi che brillano, accetta senza troppe domande. Ben presto, però, intuisce che qualcosa non quadra. Lo pagano ancora. Questa volta per starne fuori. Ma Artusio è anche molto testardo e maledettamente orgoglioso. Ora vuole saperne di più: e, così, eccolo invischiato in un’accusa di duplice omicidio. Il commissario Lombardi gli sta addosso, tra i due non corre buon sangue. Artusio non rispetta le regole – talvolta, forse, neppure la legge – sfotte la polizia e si atteggia a duro. Questa è un’occasione come un’altra per dargli la regolata che merita. Si crede un dritto il nostro Artusio, mentre affronta con disinvoltura menzogne e raggiri, agguati e sparatorie. E intanto quei due casi finiscono per intrecciarsi. Eppure questo non lo turba troppo. Magari, l’aveva persino previsto. Del resto, conosce bene l’animo umano il nostro Artusio e ormai non vi ripone più alcuna fiducia. Adesso, però, è destinato a scoprire quanto ancora il male possa sorprenderlo e l’essere umano deluderlo.
INTERVISTA
1) Leggendo il tuo romanzo non ho potuto fare a meno di riflettere sul personaggio principale della storia: Michele Artusio. Di professione è un investigatore privato, ma il suo atteggiamento sembra farlo finire sempre nei guai. Raccontaci il suo rapporto con gli altri personaggi del romanzo, e soprattutto con il commissario Lombardi. Come nasce il personaggio di Michele Artusio?
In effetti, questo è il romanzo di Artusio. Voglio dire che, essendo Artusio a narrare la storia in prima persona, questa storia è inevitabilmente la sua. Una storia fatta di eventi e di incontri, visti però sempre dalla sua prospettiva. Perciò il suo cinismo e la sua dissacrante ironia, che spesso si vela di malinconia, sono il filtro attraverso il quale il lettore conoscerà gli altri personaggi. Se a presentarceli fosse stato qualcun’altro, qualcuno con un carattere e uno sguardo sul mondo differenti, forse i personaggi minori sarebbero risultati a loro volta diversi. È appunto il caso del commissario Lombardi: sì, giurerei che, se chiedessimo al suo fidato braccio destro, Marocco, quell’omone, grande e grosso, si scioglierebbe in lacrime dalla commozione. Ma Artusio non è tipo da lasciarsi commuovere o intimidire, tira dritto per la sua strada e questo di certo può dar fastidio a tanti. Spero, però, che valga soltanto per gli altri personaggi della storia e non anche per i lettori del romanzo! Ma del resto Artusio è così e non potrei immaginarlo altrimenti. Egli partecipa al mito dell’investigatore privato della letteratura hardboiled portata sullo schermo dal cinema noir, che Raymond Chandler (il quale contribuì sia come romanziere sia come sceneggiatore a delinearne lo stereotipo) ebbe a definire: «la personificazione di un modo di essere, l’esagerazione di una possibilità. Il detective è una figura completa e immutabile, qualunque cosa accada».
2) Il tuo romanzo ha un setting temporale ben preciso: il periodo subito seguente la fine della Seconda Guerra mondiale. Come mai la scelta di ambientare la tua storia in questo periodo?
Un setting temporale preciso e anche particolare: la scelta dell’ambientazione storica per un racconto investigativo, forse, non è più di moda. Certo, io volevo rendere omaggio a una tradizione storicamente ben definita, ma la poetica del dissenso e della disillusione che contraddistinsero il cinema noir hollywoodiano degli anni ’40 e ’50 è certamente sopravvissuta alla sua golden age e sarebbe perciò ben potuta confluire in un racconto calato nella nostra contemporaneità. Del resto, l’emergenza provocata dal Covid-19 ha dimostrato chiaramente quanta inquietudine si celi dietro il nostro soltanto apparente benessere. Dunque, la ragione principale della mia scelta dev’essere il disagio che provo verso la realtà sociale (e, per inciso, anche editoriale!) contemporanea. Una realtà dalla quale, almeno con la fantasia, cerco di evadere. L’Italia ferita, stremata, in ginocchio dell’immediato dopoguerra era più in difficoltà di quella odierna; eppure ho l’impressione che fosse anche più sana e, forse, paradossalmente destinata a un futuro migliore del nostro. E lo stesso Artusio, per tornare ancora una volta a lui, dietro la cui maschera si cela la mia sensibilità, è tipo da ostentare di non credere in nulla, ma da nutrire ancora intimamente, segretamente, qualche speranza nell’avvenire.
3) Il vero “turning point” del romanzo è rappresentato dai due casi ai quali lavora l’investigatore Artusio. A seguito di una serie di strani eventi che lo vedono protagonista, Michele Artusio finisce per essere accusato di un duplice omicidio. Ci spieghi questa sorprendente evoluzione del protagonista?
Sì, è vero, per Artusio le cose a un certo punto si mettono proprio male. Ma dopo anni di mestiere deve averci fatto il callo e, forse, per questo non si sorprende. Si preoccupa, è naturale. Ma in fondo non potrebbe negare d’essersi aspettato qualcosa del genere. E immagino che se lo aspetti anche il lettore appassionato di narrativa investigativa: per questo sono contento che Steve Della Casa, nella sua prefazione, abbia sottolineato appunto la presenza di «colpi di scena, azione, sorprese, segreti nascosti», ravvisandovi un punto di forza del racconto.
4) Ho apprezzato molto il tuo romanzo e ho trovato particolarmente interessante lo stile che hai scelto di utilizzare per narrare questa storia: l’ironia è sapientemente affiancata ad un ritmo narrativo coinvolgente, anche quando i fatti raccontati pongono il lettore dinanzi ad una realtà disincantata. Per i tuoi romanzi e le tue storie ti ispiri a qualche autore in particolare o lasci che siano le tue emozioni e le tue impressioni a guidarti nella scrittura?
L’umorismo, per Pirandello, era la poetica del contrario e, dunque, risiede nella capacità di guardare con distaccata ironia una verità amara. Artusio (benché come ho detto partecipi al mito del detective hardboiled molto stereotipato) possiede un carattere contraddittorio, schizofrenico e certamente umoristico. È appunto questa sua ambiguità ad animare il racconto condotto in prima persona e ridotto, talvolta, a un impietoso confronto con se stesso. Direi un esame di coscienza, considerato che in fondo lo stesso Artusio è costretto ad ammettere di conservarne ancora una, da qualche parte. Come vedi, ormai posso dire di conoscere abbastanza bene l’interiorità del mio personaggio, ma credimi, avrei molte difficoltà ad attribuirgli un volto, un aspetto esteriore. Osservo il mondo da dentro di lui e non mi sono posto la questione di come questo lo veda di rimando. E così eccoci a un altro aspetto totalmente interiore, il mio metodo di lavoro: dentro di me avverto il dialogo incessante tra esponenti – tutti defunti – di arti diverse. Ogni tanto, a suggerirmi la battuta, è Francis Scott Fitzgerald, un’altra volta, invece, è Orson Welles. Qualche immagine, me la ispira Edward Hopper, mentre la successiva proviene dritta, dritta da un film di Alfred Hitchcock. Ma in fin dei conti, per tornare a Pirandello, quale Fitzgerald? E quale Welles? Quale Hopper? E quale Hitchcock? Non si può pretendere che esistano uno solo di ciascuno di loro, ma ciascuno di noi ne sente, dentro, uno proprio. Allo stesso modo, non può esistere un solo L’ombra del passato, ma ne esisteranno tanti quanti saranno coloro che lo leggeranno. Speriamo parecchi!
L’AUTORE
Stefano Sciacca, laureato in giurisprudenza all’Università di Torino, ha studiato Human Rights Law presso la University of Oxford e collaborato con l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, è consigliere della Fondazione Culturale di Noli per la quale ha curato conferenze e mostre (Tracce di Realismo a Noli, 2015), è autore di romanzi (Il Diavolo ha scelto Torino, Robin 2014), di saggi di critica cinematografica (Prima e dopo il noir, Falsopiano 2016) e di video sulla storia dell’arte e del cinema (Cinema e Psiche: il manipolatore, 2018).
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