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“Ferla: dove l’editoria incontra la terra”

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ἁπαλός (Apalós) è la Casa Editrice più a sud d’Europa, nata nel 2023, a Siracusa, “ultimo avamposto dell’impero” e pone al centro del suo progetto culturale la “gravità”, intesa come importanza, profondità e qualità dell’offerta culturale. La pubblicazione di pochi titoli l’anno, scrupolosamente selezionati, di voci per lo più affermate ed un catalogo pensato come un solo grande corpo, fatto di episodi irripetibili ed eterodossi, la allontanano dal facile impegno, dall’appiattimento, dall’omologazione e dalla banalità postmodernista.

 

 

Presente al Salone del Libro di Torino tra poche settimane, è una realtà editoriale in ascesa attenta alla cultura a tutto tondo. Ne parliamo con l’editore Silvio Aparo e sua moglie Rossella Rapisarda.

 

 

Oltre alla casa editrice, curate anche una piccola azienda agricola e uno spazio di ospitalità. Come nasce questa scelta di vita “diversificata”?
La verità è che non la viviamo come una vita divisa, ma come un’unica traiettoria, coerente e profondamente interconnessa. La terra, i libri, l’ospitalità non sono compartimenti stagni: sono modi diversi di coltivare bellezza, lentezza, ascolto. Vivere tra ulivi, pagine e persone ci ricorda ogni giorno che cultura è anche gesto quotidiano, relazione, cura. È un modo per restituire senso alle cose, e per abitare il presente con radici salde.

 

Ferla, il territorio in cui vi trovate, è centrale in questo progetto. Che ruolo gioca il paesaggio, la Sicilia, la campagna, nella vostra idea di editoria e accoglienza?
Un ruolo essenziale. Il territorio non è solo sfondo, è materia viva del nostro pensiero. Ferla, con la sua storia, il suo silenzio, la sua luce, è il luogo ideale per rallentare e ritrovare un ritmo più umano. Lì nascono molte delle nostre intuizioni editoriali, lì accogliamo gli ospiti nella nostra casa di campagna, lì coltiviamo il nostro olio. È un luogo che insegna il rispetto per ciò che cresce con lentezza, che richiede attenzione e tempo — proprio come un buon libro.

 

Avete creato uno spazio per scrittori e operatori del libro: cosa accade in quella casetta di campagna tra gli ulivi?
Accade quello che spesso manca nel mondo contemporaneo: il tempo per pensare. La casetta è uno spazio di respiro, un rifugio, un laboratorio silenzioso. Ospitiamo scrittori, traduttori, editor, librai — chiunque abbia bisogno di staccarsi dal rumore per ritrovare concentrazione, ispirazione o semplicemente una pausa rigenerante. Tra una pagina e un’oliva, tra una passeggiata e una conversazione a tavola, si crea una piccola comunità temporanea che condivide valori, idee e un certo modo di guardare il mondo.

 

Libri, natura, sostenibilità: come si traduce tutto questo in una visione del futuro?
Per noi il futuro non è un’idea astratta, ma qualcosa che si costruisce con piccoli gesti quotidiani: un libro ben scelto, un olio prodotto con rispetto per la terra, un’accoglienza attenta e sincera. Sostenibilità, per noi, significa equilibrio: tra ciò che prendiamo e ciò che restituiamo. E questo vale sia nella coltivazione sia nella pubblicazione. Vogliamo costruire un futuro lento, consapevole, in cui cultura e natura tornino a parlarsi, a nutrirsi a vicenda. Un futuro che profuma di carta stampata, di erbe selvatiche e di pane condiviso.

 

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

“Ferla: dove l’editoria incontra la terra”

ἁπαλός (Apalós) è la Casa Editrice più a sud d’Europa, nata nel 2023, a Siracusa, “ultimo avamposto dell’impero” e pone al centro del suo progetto culturale la “gravità”, intesa come importanza, profondità e qualità dell’offerta culturale. La pubblicazione di pochi titoli l’anno, scrupolosamente selezionati, di voci per lo più affermate ed un catalogo pensato come un solo grande corpo, fatto di episodi irripetibili ed eterodossi, La allontanano dal facile impegno, dall’appiattimento, dall’omologazione e dalla banalità postmodernista.

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