Cari lettori, oggi condivido con voi la recensione di Lina Morselli del romanzo “Fratello di ghiaccio” di Alicia Kopf, edito da Codice Edizioni.
Alicia Kopf (oggi quarantenne) è lo pseudonimo di Imma Ávalos Marquès, artista spagnola che vive e lavora a Barcellona. La sua più famosa esposizione artistica si può ammirare anche online, cercando Speculative Intimacy 2019 alla Galleria Joan Pretz di Barcellona.
IN APERTURA
Partiamo dal corposo esergo in cui compaiono Louise Boyd (prima esploratrice artica), Glenn Gould, Jules Verne, Lorenzo Dàvalos, Friedrich Nietzsche, Ernest Sheckleton, Laurie Anderson, Ernesto Franco, un proverbio Inuit, Gilles Deleuze, Seneca.
La presentazione ci predispone a qualcosa di insolito, complesso e interconnesso, e la partenza è di quelle fulminanti: John Symmes, nel 1818, afferma con sicurezza che la Terra è cava, e siccome è bucata in corrispondenza dei Poli, si può entrare da un buco e uscire al suo antipodo, è dotata di sette sfere concentriche e solide e per lo più è abitabile all’interno. Qui entra a gamba tesa “Viaggio al centro della Terra” di J. Verne, ma ad Alicia Kopf interessa soprattutto avvertirvi che il suo calendario storico/geografico interno copia quello schema e si compone di sette dimensioni di vita e pensiero che l’hanno condotta, oggi, ad essere quella che è. E comincia anche per noi la fascinazione del bianco e del freddo, alla scoperta di quanto proprio il freddo possa essere custode e artefice.
LA CONQUISTA DEI POLI
Si comincia con una cavalcata tra le ultime grandi esplorazioni geografiche del ‘900, alla scoperta dei Poli: la disputa fra Cook e Peary (vince quest’ultimo), l’eroica volontà patriottica di Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi, il viaggio vittorioso di Amundsen con i suoi cani da slitta, il viaggio drammatico e perdente di Scott con i suoi pony da tiro, la prima esploratrice Louise Boyd, e l’impresa straordinaria di Shackleton. Qui in verità Alicia Kopf si sofferma per qualche riga in più: si trattava di attraversare il Polo Sud da una costa all’altra della sua estensione, e sarebbe stata l’ultima possibile conquista in un tempo che aveva già avuto i suoi eroi polari. Ma qualcosa va storto e la spedizione impiega tre anni per tornare, senza perdite, tutti sono sani e salvi e si passa alla storia proprio per questo (cercate e guardate un bellissimo film, in due parti, pluripremiato, intitolato semplicemente “Sheckleton”, con un magnifico Kenneth Branagh). Sheckleton e Ulisse sono accomunati dalla prodezza del ritorno, ed entrambi poi ripatiranno, incapaci di resistere al richiamo l’uno del viaggio e l’altro del ghiaccio.
E siccome ogni viaggio vive del suo stesso racconto, non possono mancare gli appunti, i pensieri di ogni viaggiatore serio, fissati nel suo diario, spesso pensieri descrittivi, emozionali, ma altrettanto spesso pensieri laterali, ricordi indotti da colori e forme, metafore e definizioni improvvise e fulminanti sul qui ed ora. Qui le forme e i colori della neve e degli icebergs diventano punti di riferimento emotivi per il vissuto visibile ed interiore della scrittrice.
LA VITA DI ALICIA
“Leggiamo anche noi stessi quando leggiamo gli altri? È dentro o in avanti la direzione in cui guardare mentre scriviamo?”. Questo è uno degli appunti di viaggio che ci permettono di transitare dal freddo polare esterno all’interno della vita della scrittrice, che potrebbe avere come motto del suo blasone il proverbio Inuit dell’esergo: “Sii come il ghiaccio, trasparente, ma tieni tutto dentro di te”.
La seconda parte del libro è una continua altalena fra il suo dentro e il suo fuori, senza risparmio di esperienze ed emozioni: l’infanzia segnata dalla separazione dei genitori, l’adolescenza che le fa scoprire la lettura (“Leggere è più sovversivo che drogarsi”), il lungo soggiorno a Londra, l’università, Parigi, le lezioni di danza, il cammino attraverso l’arte e la volontà di “rendere visibile l’invisibile”. Ma sempre pesano la solitudine e la necessità di sapersi autonoma (dall’adolescenza in poi Alicia lavora per mantenersi agli studi) da quella che con ostinazione lei definisce “famiglia”, ma che in realtà rappresenta una dimensione affettiva mai vissuta. Le vengono in aiuto la psicanalisi (grazie alla quale faticosamente arriva a definire e comprendere i suoi molti fallimenti amorosi) e l’amicizia con altre donne, a volte conosciute da sempre, a volte incontrate durante un viaggio. Già, la famiglia: onnipresente, idealizzata, fraintesa, accumulatrice di aspettative e di veleno, che inevitabilmente tracima fino a bagnare entrambi i genitori, e in particolare la madre.
FRATELLO DI GHIACCIO
Eppure, c’è un legame fortissimo che unisce Alicia proprio a sua madre: il fratello M., il Fratello di Ghiaccio del titolo. M. è affetto da una forma di autismo, diagnosticata da adulto, oggi ha più di 50 anni. La madre l’ha accudito, da sola, fino a trovargli, da grande, un centro diurno. Per lei, i problemi di incomprensione e solitudine di Alicia sono poco più che capricci, tanto che raramente risponde alle sue richieste di aiuto, materiale e morale.
È M. a tenere unite le varie parti del libro, è lui che compare, anche solo in poche frasi, facendo capolino ora fra i grandi viaggiatori, ora nella narrazione della vita di Alicia, e spesso arriva a prendersi la scena, quando anche la sua vita viene descritta, senza fronzoli, né retorica, né compiacimento. Alle parole finali, dedicate ad M., va il diritto di chiudere qui, come nel libro, ma con un’ultima riflessione: queste sono 250 pagine dense, ricche, sorprendenti, colte, sperimentali (ci sono anche alcune illustrazioni!), che hanno incantato il mondo (è tradotto in dieci lingue), e contiene molto di più di quanto qui si è provato a dire.
“Fratello di ghiaccio, mi chiedo se averti ricreato qui ci farà bene….
Ognuno ha la sua vita, e anche la mia deve continuare… D’altro lato questo libro non parla della tua vita,
che è solo tua; è un’esplorazione. La ricerca dell’origine di una propria voce e sguardo,
ed è per questo che anche tu sei presente…
Qualche volta, non sempre ma in certe occasioni, chi ha la volontà può riuscire.”
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