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Gianluca Giagni: “Sine cura non è solo un’opera informativa; è un invito a ripensare il nostro approccio al rischio”

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Ingegnere e docente universitario, oltre che membro del Gruppo di Lavoro Sicurezza del Consiglio Nazionale degli Ingegneri dove coordina il progetto “La sicurezza a partire dai banchi di scuola” da lui ideato nel 2019, Gianluca Giagni è l’autore del nuovo libro “Sine cura. Trasformare il rischio in opportunità” (Editore VivereIn).

 

 

La sicurezza è un concetto che va oltre leggi e tecniche. È un valore sottile, un’ombra silenziosa che ci avvolge, presente in ogni angolo della nostra vita quotidiana: dalla casa al lavoro, dalla scuola ai momenti di svago. Ma cosa significa veramente sentirsi al sicuro nel nostro mondo sempre più complesso e imprevedibile?
Sentirsi al sicuro in un mondo sempre più complesso e imprevedibile implica una profonda percezione di protezione, stabilità e controllo, sia a livello fisico che emotivo. Oggi, siamo immersi in un contesto dominato da una costante esposizione alle ansie amplificate dai social media e dai notiziari, dove la sicurezza trascende l’idea di mera assenza di pericoli. Essa si configura come un insieme sinergico di elementi che favoriscono il benessere, tanto individuale quanto collettivo.
È fondamentale, quindi, coltivare ambienti e relazioni che sostengano e promuovano questi aspetti. Solo attraverso la costruzione di legami solidi e la creazione di spazi protetti possiamo realizzare una società più sicura e resiliente, in grado di affrontare le sfide del presente e del futuro con maggiore serenità. La riflessione su ciò che realmente significa sentirsi al sicuro diventa, pertanto, un passo imprescindibile verso una vita vissuta con pienezza e senza paura.

 

Nei suoi libri precedenti ha esplorato il concetto di “Pericolosamente sicuri”. Come si collega quest’opera alla sua trilogia?
“Pericolosamente Sicuri” possiamo definirlo come un paradosso che rivela la verità del quotidiano. L’espressione “pericolosamente sicuri” può apparire contraddittoria, ma racchiude una verità profonda sul nostro modo di affrontare la vita quotidiana. Essa descrive quella situazione in cui una sicurezza eccessiva porta a sottovalutare le fonti di rischio che ci circondano. Questa fiducia eccessiva può condurre a comportamenti avventati e decisioni poco ponderate, con conseguenze potenzialmente gravi. Nel mio progetto letterario, la trilogia intitolata “Sine cura”, ho voluto collegare questo concetto a un percorso più ampio: avvicinare la cultura della sicurezza al cittadino comune. Viviamo in un mondo sempre più complesso e interconnesso, dove troppe persone ignorano i rischi finché non si trovano di fronte a situazioni critiche. La mia trilogia si propone di costruire un ponte tra il cittadino e l’esperto, offrendo strumenti pratici e comprensibili per trasformare la paura in opportunità. “Sine cura” non è solo un’opera informativa; è un invito a ripensare il nostro approccio al rischio. Desidero ispirare i lettori a vedere il rischio non come una minaccia da temere, ma come un’opportunità di crescita personale e professionale. Attraverso aneddoti coinvolgenti, esempi pratici e strategie efficaci, il libro mostra come una maggiore consapevolezza e preparazione possano guidarci verso scelte più sicure e illuminate nella vita di tutti i giorni. In questo percorso, ogni pagina si presenta come un invito a esplorare, a riflettere e a prepararsi ad affrontare il mondo con uno sguardo rinnovato, pronto a cogliere le opportunità nascoste dietro ogni rischio.

 

Il tema della sicurezza, soprattutto sul lavoro, è di grande attualità. Quali sono le maggiori difficoltà che vede nel promuovere una vera cultura della sicurezza?
Vi è senza dubbio una sfida nella promozione di una cultura consapevole, di fatto il tema della sicurezza, in particolare sul luogo di lavoro oggi con quanto vediamo e leggiamo sulle cronache, è di fondamentale importanza e attualità. Tuttavia, ci sono sfide significative che ostacolano la creazione di una vera cultura della sicurezza all’interno di ogni tipo di organizzazione. Uno dei principali ostacoli è la cultura della negazione, dove le persone tendono a minimizzare i rischi, convinte che le problematiche di sicurezza non le riguardino direttamente. Questo atteggiamento di indifferenza crea una barriera all’apprendimento e al cambiamento, con la convinzione errata che “non c’è nulla di nuovo da apprendere”, basata su quanto abbiamo vissuto e sulla propria esperienza. Superare questa sfida richiede un impegno collettivo per sensibilizzare e formare i cittadini sui rischi esistenti e sull’importanza di una preparazione adeguata. È cruciale promuovere un ambiente in cui la formazione sulla sicurezza sia percepita come un’opportunità di crescita personale e professionale, piuttosto che un mero obbligo. Solo attraverso questa trasformazione culturale sarà possibile costruire una solida cultura della sicurezza, capace di proteggere i lavoratori e di migliorare il clima aziendale complessivo. Investire nella sicurezza non significa solo ridurre gli infortuni, ma anche promuovere un senso di responsabilità condivisa e di rispetto reciproco. Creando un dialogo aperto e incoraggiando la partecipazione attiva di tutti i membri, si possono trasformare la paura e l’indifferenza in consapevolezza e proattività. In questo modo, non solo si salvaguardano vite umane, ma si contribuisce anche a un ambiente di lavoro più efficiente e armonioso, dove ognuno si sente valorizzato e coinvolto.

 

Nel suo libro parla di trasformare il rischio in un’opportunità. Può darci un esempio pratico di come questo approccio possa funzionare?
Supponiamo per un attimo di trovarci nel cuore di un cantiere edile dove l’atmosfera è frenetica: operai che si muovono tra materiali, macchinari che rombano e altezze da raggiungere. Durante una normale ispezione, il responsabile della sicurezza nota diversi potenziali rischi: materiali abbandonati qua e là, attrezzature pesanti in movimento e poca segnaletica di sicurezza visibile. È chiaro che questi fattori possono dare origine a incidenti e infortuni, ma invece di limitarsi a segnalare i problemi decide di agire. Comprendendo che la sicurezza è fondamentale non solo per proteggere i lavoratori ma anche per garantire l’efficienza del progetto, decide di vedere in questi rischi un’opportunità di miglioramento. Organizza quindi una riunione con tutti i membri del team, durante la quale spiega l’importanza di creare un ambiente di lavoro sicuro. Propone l’implementazione di un programma di formazione sulla sicurezza che non solo affronti la gestione dei materiali e l’uso corretto delle attrezzature, ma che incoraggi anche la comunicazione aperta tra i lavoratori. Inoltre si introduce un sistema di segnalazione visiva più efficace: cartelli luminosi e indicatori chiari che aiutano a identificare le aree pericolose e i percorsi sicuri. Con il passare delle settimane, l’atteggiamento del team inizia a cambiare. I lavoratori diventano più consapevoli dei rischi e, grazie alla formazione, si sentono più sicuri nel gestire le attrezzature. Questa nuova cultura della sicurezza non solo riduce gli incidenti, ma porta anche a un incremento della produttività. I lavoratori sono più motivati e collaborano meglio, consci che la loro prevenzione è fondamentale per il benessere collettivo. In questo modo, quella che inizialmente era una situazione rischiosa si trasforma in un’occasione per migliorare non solo la sicurezza, ma anche il morale e l’efficienza del team. In definitiva, affrontare i rischi con una mentalità proattiva non significa solo salvaguardare la salute e la sicurezza, ma anche aprire la porta a una crescita continua, creando così un cantiere non solo più sicuro, ma anche più forte e unito.

 

Come afferma lei stesso, molti psicologi ritengono che noi freniamo e spesso limitiamo i ricordi di esperienze traumatiche. È immaginabile che informazioni procedurali relative a circostanze imprudenti o rischiose possano anche essere perse con la memoria effettiva dell’evento stesso? Se sì, che fare?
Quando affrontiamo un incidente o un evento traumatico, la nostra memoria può comportarsi in modo imprevedibile. Essa è selettiva e spesso tende a dimenticare i dettagli più dolorosi o spaventosi per proteggere il nostro benessere psicologico. In situazioni di emergenza, i particolari possono sfuggire a causa dell’ansia che ci assale o perché cerchiamo di allontanarci dal dolore emotivo. Inoltre, lo stress legato all’evento può impedirci di ricordare come gestire situazioni simili in futuro. Ad esempio, potremmo dimenticare i passaggi da seguire in caso di emergenza. È fondamentale quindi ricostruire e confrontarsi con amici, colleghi e familiari per capire cosa non ha funzionato durante l’incidente. Non si tratta di argomenti astratti, ma di situazioni reali che possono verificarsi, e per le quali è importante abituarsi a reazioni spontanee e ben strutturate. In questo modo, durante eventuali eventi futuri, sapremo cosa fare senza farci sopraffare dall’ansia legata ai ricordi.

 

In chiusura, oltre ai libri, quali mezzi ritiene efficaci per la promozione e la diffusione di una concreta cultura della sicurezza?
È un concetto legato prima di tutto all’approccio direi. Certamente utilizzando un metodo multidimensionale può raggiungere un pubblico più ampio e contribuire in modo significativo alla creazione di una cultura della sicurezza diffusa e radicata, attraverso campagne di sensibilizzazione, podcast e webinar, condivisione di testimonianze e storie di vita. Ma senza dubbio è importante partire con una crescita della cultura che vede le scuole come primo obiettivo perché lì ci sono i futuri cittadini del mondo.

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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