La teoria delle briciole di Laura Moreni, pubblicato nella collana Narrativa da Bertoni Editore, è un romanzo che racconta la storia di una donna di nome Claudia, con una vita apparentemente ordinaria insieme al marito Giorgio e le loro due figlie, finché non viene sconvolta dall’arrivo di un uomo misterioso di nome Mino, con cui inizia una relazione clandestina.
Attraverso una serie di ricordi e riflessioni, Claudia cerca di dare un senso ai suoi sentimenti contrastanti e alle conseguenze delle sue azioni.
Quali sono i temi principali che emergono dalla storia che racconti?
Nel romanzo tratto diversi argomenti che riguardano la vita quotidiana di ognuno di noi: la famiglia, l’amore, l’amicizia, il lavoro, e cerco di affrontarli da diversi punti di vista. La mia protagonista ad esempio racconta cosa significa essere madre ma anche figlia, essere moglie fedele e poi infedele, cognata e sorella, eccetera.
A un livello più profondo trattare di questi argomenti mi è servito per affrontare temi che hanno una portata maggiore, e che riguardano l’identità dell’individuo e il riconoscimento di se stesso: la persona si conosce davvero, per quella che è, con i propri difetti e limiti, pregi e attitudini, desideri appagati e inappagati, o soltanto attraverso i ruoli che la vita, via via, ci impone di rivestire? Ovvero, esiste una parte di noi che lucidamente conosciamo e accogliamo e che riguarda puramente noi stessi? Oppure il nostro esistere è misurato soltanto attraverso i nostri “personaggi”, come fossimo eternamente un riflesso dei rapporti con gli altri, un’immagine rimandata da specchi?
È una domanda che mi pongo da tempo e alla cui risposta credo che tutti dovremmo tendere: ognuno di noi, per questioni culturali e sociali, cresce e si sviluppa attraverso molti condizionamenti, vagando tra concetti di “giusto” e “sbagliato” che spesso non appartengono alla nostra etica personale, ma alle persone o alle situazioni che ci circondano. L’obiettivo quindi è proprio ragionare su una propria etica, che si matura durante le esperienze e la consapevolezza.
Quando sento dire la classica frase: “Finalmente ha messo la testa a posto” mi viene l’orticaria. Generalmente si riferisce al fatto che una persona smette di fare ciò che sente o ciò che vuole, per quanto fastidioso ciò possa apparire, abbandona “i grilli per la testa” tipici della gioventù e va a soddisfare le aspettative di chi le sta vicino. Quello che sempre mi chiedo è se questo è un passaggio dovuto alla consapevolezza, alla maturazione di un individuo, oppure se è il momento in cui si rinuncia a qualcosa per conformarsi a quello che gli altri si aspettano.
È una domanda cruciale.
Che cosa ha Mino che Giorgio non ha e viceversa?
Mino e Giorgio sono due personaggi che ho tentato di rappresentare nel modo più verosimile e concreto possibile. Giorgio, il marito, è un uomo avvenente, prestante, solido e affidabile, perfetto nel ruolo del marito: gentile e rispettoso, vive la sua vita in maniera costante, senza troppi picchi umorali, portando a termine i propri compiti con l’obiettivo di garantire incessante serenità e benessere alla famiglia; la sua realizzazione di uomo passa attraverso tali responsabilità.
Mino è invece un uomo molto meno affascinante e solido, anche se in comune con Giorgio ha il forte senso di responsabilità. È una persona più emotiva, meno realizzata affettivamente, meno stabile. Non si accontenta, però: appurata la sua non gratificazione nel matrimonio, cerca la propria realizzazione attraverso il lavoro; esso lo porta a una ricerca continua, estetica e viscerale, e lo tiene sempre a contatto con la parte più intima di se stesso.
Sono due uomini molto diversi, che necessitano di stimoli opposti. Giorgio trova appagamento nella soddisfazione di bisogni materiali e concreti, mentre Mino è proiettato verso l’intimità, l’emozionale, l’incoerenza del tutto umana tra desideri proibiti e leciti.
Claudia avverte subito il divario tra i due, anche se non riesce a comprendere cosa scatena l’attrazione morbosa e necessaria nei confronti di Mino.
Come influiscono le relazioni di Claudia con gli altri personaggi sulla sua crescita personale?
Le relazioni di Claudia sono tutte per lei fondamentali, a partire da quelle con le figlie e la madre, fino ad arrivare ai rapporti con le amiche e la cognata. Sono relazioni peculiari e importanti, perché attraverso l’analisi dei comportamenti di ognuna delle persone con cui interagisce – Claudia è un’ottima osservatrice – lei riesce a portare avanti un confronto continuo con se stessa, a porsi domande e a comprendere quali sono invece i propri atteggiamenti, i limiti e le aperture; conosce la sua indole e il suo carattere. Questo accade anche quando la relazione con Mino, il folle imprevisto caduto nella sua vita ordinaria e controllata, la obbliga a un’analisi ancor più approfondita: Claudia vuole capire innanzitutto perché vive una tale situazione e non riesce a farne a meno, pur consapevole dell’enorme fortuna che ha avuto nella vita. Fortuna di cui è cosciente proprio grazie al confronto con le vite delle persone che ama. Le riesce molto bene questa analisi, è lucida e neutra grazie al fatto che lei non giudica mai e ascolta sempre con neutralità. In questo senso è un’ottima amica, un’ottima madre, un’ottima figlia.
Proprio da qui, infatti, partirà la sua ricerca: sono una moglie, una figlia, una madre, un’amica. E poi? Claudia chi è?
L’incontro con Mino è certamente l’opportunità di scoprirlo.
Puoi svelarci quale sia il significato della cicatrice di Claudia?
La cicatrice di Claudia è un simbolo di inadeguatezza. Volevo sottolineare che tutte noi donne, persino la più realizzata e di successo, abbiamo una sorta di scontentezza di fondo che tendiamo a legare a qualcosa del nostro aspetto. È un’insicurezza radicata, e può essere allacciata alle gambe grosse, al seno piccolo, al sedere cadente, al naso aquilino. Potrei fare un elenco infinito. In realtà è un’incapacità di accettarci per come siamo, derivata da modelli estetici che si fanno sempre più ingombranti. Con l’età, con una maggiore consapevolezza di chi siamo – non solo esteriormente – può essere che questo atteggiamento migliori, che si risolvano certi nodi e si riesca a vivere con maggior libertà. Però credo che, in maniera più o meno accentuata, sia una dinamica in cui ogni donna si trova invischiata, e che dipenda da un retaggio di doveri da espletare, di apparenze da mantenere, di standard di prestazioni sempre più alti. E di lotta contro il tempo: sempre più uomini a sessant’anni sono nel pieno della loro forma e fascino, mentre le donne hanno in fondo la sensazione che dopo la menopausa inizi inesorabile l’invecchiamento, e finisca la possibilità di sedurre, di piacere ancora. Non credo che sia così, ma resta il fatto che osservarsi, giudicarsi e amarsi sia un lavoro estenuante.
La realtà è che nessuno è perfetto e tutti lo siamo. Ci sono molti modi oggi per migliorarci o correggere i nostri difetti e piacerci di più, ma è questo il punto: dobbiamo piacere a noi stesse innanzitutto.
La cicatrice di Claudia, inoltre, è nel romanzo un espediente che la rende ancor più dipendente dal marito, perché è conseguenza della loro esperienza condivisa di genitori. A un certo punto lei lo dice: “Il mio corpo nudo e segnato, da lì in avanti, non sarebbe mai più stato mio, ma esclusiva proprietà di Giorgio.”
Così, superare il blocco emotivo legato alla sua cicatrice significa per Claudia superare una chiusura verso se stessa, un veto alla libertà del suo essere.
Una curiosità… Qual è il ruolo del “PM” nella vita di Claudia?
Il PM, o “Primo Martedì”, è una specie di ancora di salvezza a cui Claudia e le sue amiche si sono aggrappate per continuare a mantenere una frequentazione costante nel tempo, nonostante le loro vite impegnate, i mariti e i figli, il lavoro.
È un’occasione che ho voluto dar loro – e che credo sarebbe salutare per tutti, uomini e donne – , una sorta di ulteriore dovere ma che, a differenza di tutti gli altri, trova loro stesse come protagoniste. È una parentesi di tempo ritagliato da dedicare esclusivamente all’amicizia e allo scambio, che viene vissuta da Claudia, ma anche dalle amiche Milena, Francesca e Agata, in maniera abbastanza libera e un po’ oltre le righe: un momento per confessarsi e confrontarsi, senza troppi peli sulla lingua, senza doversi curare troppo delle parole, delle emozioni e delle reazioni degli altri. Un momento, insomma, in cui le insicurezze vengono messe da parte, e così i disagi, le frustrazioni.
Le quattro donne si conoscono da anni e sono talmente in confidenza da potersi esprimere senza vincoli e senza la paura del giudizio: questo è decisamente per tutte loro un momento prezioso, un’iniezione di affetto condiviso.
Per Claudia, quindi, ma anche per le amiche, è qualcosa di irrinunciabile.
Salvare per forza un matrimonio o salvare se stessi: quale messaggio arriva dal libro?
Non è una scelta tra se stessi e il matrimonio. Anzi. La mia storia coinvolge il matrimonio di Claudia perché per lei l’elemento scatenante della crisi è un altro uomo, un’altra relazione. Ma può trattarsi di qualsiasi aspetto della vita: il rapporto con i genitori o con i figli, con gli amici, il lavoro, il luogo in cui si vive.
Direi quindi che l’unico suggerimento del libro è ascoltarsi, conoscersi, accettarsi. Amare se stessi e di conseguenza agire. A volte scegliere il proprio bene significa, purtroppo, cambiare situazioni, ferire persone amate, interrompere percorsi. Ma è l’unica via per una vita davvero gratificante, davvero consapevole.
Come sempre però vorrei precisare che non intendo dare alcun messaggio nei miei romanzi – chi sono io per dare messaggi, ancor più formativi? Piuttosto mi piace creare frangenti un po’ provocatori e metterli sotto agli occhi del lettore, spingerlo magari a porsi alcune domande.
Non è detto che le domande siano le stesse che mi pongo io, tantomeno le risposte.
Se un libro conduce a un certo tipo di riflessioni, se non si consuma nella lettura fine a se stessa e se scatena qualcosa all’interno del lettore, nella mente e nel cuore, allora penso sia un libro che ha espletato la sua funzione.
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