L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Carminito edito Bompiani è un libro duro e potente, raccontato con uno stile asciutto, concreto, pungente, ma allo stesso tempo poetico ed evocativo.
Valutazione: 5/5
Trama
Odore di alghe e sabbia, di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: sulle rive del lago di Bracciano approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, madre coraggiosa con un marito disabile e quattro figli. Antonia è onestissima e feroce, crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua figlia femmina a non aspettarsi nulla dagli altri. E Gaia impara: a non lamentarsi, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo, a leggere libri e non guardare la tv, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe e l’infelicità dove nessuno può vederla. Ma poi, quando l’acqua del lago sembra più dolce e luminosa, dalle mani di questa ragazzina scaturisce una forza imprevedibile. Di fronte a un torto, Gaia reagisce con violenza, consuma la sua vendetta con la determinazione di una divinità muta. La sua voce ci accompagna lungo una giovinezza che sfiora il dramma e il sogno, pone domande graffianti. Le sue amiche, gli amori, il suo sguardo di sfida sono destinati a rimanere nel nostro cuore come il presepe misterioso sul fondo del lago.
Riflessioni
Questo romanzo l’ho letteralmente divorato, riga dopo riga, pagina dopo pagina. Travolge come uno tsunami e lascia strascichi nel suo cammino che si ricorderanno per sempre.
La Caminito ci narra una storia vera, che ferisce, che non si dimentica, con uno stile narrativo particolare, indagando l’animo umano e descrivendo alla perfezione com’è crescere in un contesto che discrimina, che non accoglie e che è totalmente indifferente.
La voce narrante del romanzo è quella della piccola Gaia, che ci presenta fin dalle prime righe la sua famiglia come un qualcosa di danneggiato, di inutile.
È la madre, Antonia Colombo, che prende in mano le redini della famiglia, è lei che decide, comanda, ordina.
È lei che provvede a mantenere i figli e accudisce il marito: durante il lavoro che svolgeva in nero, l’uomo resta vittima di un incidente che gli ha causato la perdita dell’uso delle gambe e si ritrova a vivere la sua vita su una sedia a rotelle.
Gaia ha due fratelli gemelli e un altro fratello, il maggiore, che si chiama Mariano, figlio di un altro uomo di cui è meglio non sapere nulla.
Penso che siamo materiali di scarto, carte inutili in un gioco complicato, biglie scheggiate che non rotolano più…
Antonia con perseveranza e tenacia, guida la sua famiglia verso un futuro migliore, combattendo varie battaglie per la giustizia, per essere vista, notata e presa in considerazione.
Solo così, riuscirà ad ottenere una casa vera, mentre prima si arrabattava in una sola stanza, facendo dormire i gemellini dentro una scatola e tirando fuori da sotto il letto di Mariano e Gaia una brandina.
Gaia ha da sempre avuto un’infanzia diversa dalle altre bambine: è Antonia che le taglia i capelli, è Antonia che le cuce vestiti e li ripara perché non potevano acquistarne altri, è Antonia che ripara mobili e riutilizza materiali scartati da altri.
Se nelle prime pagine guardavo Gaia con profonda tenerezza per quanto lei della sua vita e nelle piccole cose, non avrebbe mai deciso niente a causa della presenza ingombrante ma necessaria della madre, mano a mano che la storia si distendeva si iniziavano a intravedere delle ombre in Gaia, ombre che la porteranno a rispondere alle violenze subìte nell’infanzia, con altra violenza, messa in atto da lei stessa.
Quello che ho fatto per anni è stato aspettare rivoluzioni, slavine, reazioni a catena che portassero come ultimo effetto alla mia ascesa, al dischiudersi di infinite possibilità.
Quello che ho fatto per anni è stato rimanere dov’ero, stesso posto, stessa ora, stesso ruolo, stessa faccia ad attendere i miei diciotto anni come s’aspetta una profezia, l’arrivo di una tempesta, i crollo di un muro.
Ed è il lago l’elemento che conoscerà meglio Gaia, dalla limpidezza della superficie, sul fondale si nasconde fango limaccioso, denso e scuro che incorpora e inghiotte, proprio come l’oscurità che si espande in Gaia, proprio come l’acqua si insinua anche nelle crepe più piccole.
Qui si susseguono vicende amorose, di amicizia, di tradimenti, inganni e violenze, di fratellanza che unisce Gaia e Mariano, nonostante tutto.
La mia attenzione durante la lettura del romanzo va sempre al rapporto tra madre e figlia, in cui aleggia una forza primordiale che le lega. Da un lato, una continua sottomissione per Gaia, una sofferenza che fa mancare l’aria e dall’altro lato anche una continua e perenne protezione materna che mette però in ombra la figlia, da bambina a ragazza.
La forza,la lealtà, la giustizia e la voglia di normalità e riscatto di Antonia che lotta e continuerà a combattere si interpone al povero marito Massimo ormai deprivato dalla sua
libertà, dipendente dagli altri, trascurato e tenuto in disparte nelle decisioni che solo Antonia può prendere, che insieme all’uso delle gambe, ha perso se stesso e la sua utilità.
L’acqua, rappresentazione perfetta della femminilità, simbolo di rinnovamento e trasformazione ma anche di annegamento, affondamento, declino, è l’elemento che accompagna tutto il romanzo di formazione scritto magistralmente da Giulia Caminito. Una storia autentica, dove i protagonisti sono caratterizzati da fragilità, sofferenze e dolore, sempre alla ricerca di un futuro migliore.
“Questa non è una biografia, né un’autobiografia, né una auto fiction, questa è una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione, il racconto degli anni in cui sono cresciuta, dei dolori che ho solo circumnavigato e di quelli che ho attraversato.”
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