Scrivere di sé significa salvare le proprie radici, dare un nuovo valore alla propria storia, fare pace col passato, condividere esperienze, esaltare la propria arte o attività.
Ne parliamo con Manuela Chiarottino, che ha alle spalle una trentina di pubblicazioni dal romanzo rosa alla narrativa, dai libri per bambini a romanzi storici, perché le è sempre piaciuto sperimentare vari generi e coglierne le sfumature, così come le piace aiutare chi desidera scrivere la sua storia e renderla unica.

Manuela, l’autobiografia professionale è molto più di un semplice racconto?
Assolutamente sì. È un atto di consapevolezza e di valore. Scrivere la propria autobiografia professionale non significa solo elencare esperienze lavorative, ma raccontare un percorso fatto di scelte, intuizioni, cadute e risalite. È uno strumento potente di comunicazione e di posizionamento, ma anche un viaggio interiore che restituisce significato e coerenza alla propria storia.
Chiunque può decidere di raccontare il proprio percorso, a prescindere dall’arte o dalla professione esercitate?
Ogni percorso ha valore. Che si tratti di un imprenditore, di un artigiano, un libero professionista o di un artista, raccontare chi si è e come si è arrivati a svolgere la propria attività, o la propria arte, rende il lavoro più umano, autentico e riconoscibile. Dare voce alla propria storia crea un ponte con chi legge, attivando empatia e avvicinando le persone non solo a ciò che si fa, ma anche al motivo profondo per cui lo si fa.
In un mercato sempre più competitivo, quanto è importante creare una connessione autentica?
È fondamentale. Oggi non si guarda solo cosa fa una persona, ma chi è, quali valori incarna, se ispira fiducia, se trasmette coerenza tra ciò che dice e ciò che vive. Una narrazione di sé, raccontata con sensibilità e verità, crea questa fiducia, crea empatia, andando oltre la semplice promozione.
Ciò vuol dire che chi si racconta è giusto che dichiari apertamente anche i propri momenti di difficoltà ed esitazione?
Sono proprio quei momenti che fanno la differenza.
I lettori si riconoscono nelle fragilità, nelle cadute e nelle ripartenze, nei dubbi superati e nei momenti di svolta. Perché sono esperienze che ci accomunano tutti. È lì che nasce la connessione autentica. Raccontare anche ciò che ci ha messi alla prova non indebolisce la propria figura, ma la rende più umana. Diventa uno stimolo, un esempio. Una storia in cui tutto è perfetto, in cui si vince sempre e comunque, non insegna nulla e difficilmente crea un legame: appare meno credibile, e più distante.
Di solito, avvenuta la pubblicazione, come viene utilizzata?
Dipende dagli obiettivi: può diventare un biglietto da visita autorevole, un dono per clienti o collaboratori, un contenuto per eventi o promozioni, un libro da proporre alla propria community e da vendere online. Per dare un esempio concreto: un’operatrice olistica per la quale ho curato la scrittura dell’autobiografia ha organizzato un vero e proprio tour di presentazioni. Il libro è diventato per lei uno strumento efficace per farsi conoscere e far conoscere la sua attività, con il risultato di aver acquisito nuovi clienti.
Ci racconti come avviene la stesura vera e propria?
Inizia con l’ascolto. Il mio approccio, anche grazie alla formazione in counseling e scrittura terapeutica, è accogliente e senza giudizio. Attraverso incontri on line, vocali ed eventuali materiali forniti, costruiamo insieme la struttura del racconto. Poi passo alla scrittura, mantenendo un confronto costante, per arrivare a un testo che rispecchi l’obiettivo.
Qual è il complimento più gratificante che ti è arrivato alla fine di un lavoro e quali le difficoltà maggiori incontrate?
Il complimento che mi emoziona di più è quando la persona mi dice di ritrovarsi nelle parole e nel tono utilizzati. Quando riconosce se stessa nel racconto e sente che quel percorso, riletto con occhi nuovi, le ha permesso di guardarsi più a fondo e acquisire una consapevolezza più chiara di sé e di ciò che sta portando avanti.
Le difficoltà, invece, nascono spesso dalla paura di esporsi, di raccontarsi con sincerità. È comprensibile, e da parte mia c’è il compito di creare uno spazio di fiducia in cui ci si possa sentire liberi, rassicurando che non tutto ciò che viene condiviso dovrà necessariamente essere pubblicato. Tra l’altro vorrei precisare che firmo un contratto di riservatezza. Tuttavia, è importante potersi esprimere con autenticità, condividere pensieri, per arrivare a una narrazione che rispecchi davvero chi si è. Perché questa sincerità arriva a chi legge.
Infine, anche chi volesse raccontare la propria vita senza alcun fine di personal branding potrebbe farlo?
Certo. Scrivere la propria storia può essere, prima di tutto, un dono per se stessi, per la propria famiglia o per chi si ama. Un mezzo per fermare i ricordi, a volte fare pace con il passato, celebrare ciò che si è vissuto e lasciare una traccia. E in questo caso non è detto che si arrivi alla pubblicazione, c’è chi vuole realizzare un libro solo per sé e i propri cari.
A volte nasce dal desiderio di condividere un’esperienza che ha lasciato il segno: un evento doloroso superato, che può diventare un messaggio di forza per altri; oppure un viaggio, un incontro che ha cambiato lo sguardo sul mondo. Una storia che può diventare un libro da pubblicare.
In ogni caso, se si sente il bisogno di raccontarsi, scrivere la propria autobiografia può diventare un’esperienza preziosa. Non sempre facile, sono sincera, soprattutto quando si affrontano passaggi delicati o dolorosi, ma nel tempo ho constatato come porti sempre chiarezza, sollievo, a volte un vero atto di liberazione. In ogni caso, è un modo per dare valore alla propria storia.
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