Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla del romanzo “Omicidio al Roadhouse” di James Ross, edito da Giulio Perrone Editore con la traduzione di Seba Pezzani.
Qui si parla di un giallo di alto livello, da grande epopea americana. Aspettate ad arricciare il naso, voi sussiegosi appassionati delle brughiere inglesi o dei sobborghi parigini: questo è un giallo rurale purissimo del Sud degli States, fatto di caldo torrido, sudore, whisky clandestino e cibo da pochi quarti di dollaro. Vi troverete subito immersi fino al collo nel 1940 del North Carolina, e non riuscirete ad uscirne fino all’ultima pagina, senza sparatorie, senza avvocati d’assalto, senza bionde platinate. Sappiate che è uno dei libri preferiti di Raymond Chandler, di Flannery O’Connor e di Joe Lansdale, che lo ritiene il capostipite del giallo rurale americano.
LA VICENDA
Jack McDonald (nome da cinema in bianco e nero) perde terreno, animali, attrezzi e casa, si indebita con l’unica banca locale e nel suo nulla senza prospettive non gli resta che spendere gli ultimissimi spiccioli in qualche bevuta nel polveroso locale di Smut Milligan (altro nome da set cinematografico). Smut è un instancabile trafficone e non si dà pace fino alla realizzazione del suo progetto: aprire una roadhouse, un luogo di sosta con stanze in affitto, pompa di benzina, luogo di bevute, un po’ balera e un po’ cucina ruspante, in un luogo fuori mano ma strategico, non lontano da Charlotte, la capitale dello Stato. Si dà il caso che Jack sia uno dei ragazzi più svegli del circondario, e Smut lo assume come suo braccio destro. Da quel momento nelle vite dei protagonisti si susseguono eventi che li legano sempre più l’uno all’altro. Il locale va bene sì, ma i soldi non sono mai abbastanza, e dietro ad ogni sportello, al volante di ogni automobile, tra le carte di ogni poker, in fondo ad ogni bicchiere di birra o whisky, ci sono intrallazzi, truffe, potenti prepotenti, interessi da difendere a qualsiasi costo. Non si può dire di più nella trama di un giallo, posso solo rivelare che il momento topico della vicenda è un omicidio efferato.
ATMOSFERA E PERSONAGGI
Si può invece parlare, e con piacere, dell’atmosfera di questa storia. Com’è l’America del Profondo Sud, nel 1940, mentre si sta leccando le ultime ferite della grande depressione, ancora ignara di quanto le costerà la guerra imminente? James Ross la descrive con puntualità da maestro, fino a farci gustare quasi di più i dettagli che la trama stessa. E sono dettagli da grande romanziere: gli inservienti del roadhouse, volutamente più ottusi del gestore, un cuoco nero appena uscito di galera, un altro assunto come fornitore di whisky clandestino (quello del nero Catfish è il migliore), il gruppo di uomini soli, perdenti e spesso chiusi come un riccio, che si ritrovano lì a bere o a scambiare qualche gesto con altri esseri umani. E ancora gli avventori del roadhouse, vera rassegna sociologica: gli operai dell’unica fabbrica nei dintorni, le maestrine che devono stare attente a non essere scoperte in comportamenti ritenuti immorali, lo sceriffo e i suoi scagnozzi, occupati più a guadagnarsi una riconferma nel loro ruolo che a scoprire davvero la verità, i ricchi sbruffoni, qualche turista fuori vignetta, donne piacenti furbe ma insoddisfatte. E tutto questo circo, lontanissimo dai fragori di New York, Chicago, Los Angeles o Miami, sembra essere cosciente di rappresentare l’altra faccia degli USA, forse la più vera. Tutti loro sanno benissimo cosa è bene e cosa no, ma seguono un imperativo che sembra più forte di ogni principio morale: vai avanti, cerca di più, sgomita per salire più in alto, approfitta, tirati fuori da lì.
POLVERE ED ALCOOL
Già, fuori, dalla polvere e dal caldo soffocante, che si trasforma in inverno gelido da far male ai polmoni, fuori, dalla piccolezza dei propri limiti, fuori, da un razzismo pesante, che si cerca di evitare e nello stesso tempo può far comodo come serbatoio di capri espiatori. Fuori, dalla distanza spocchiosa di chi nasce privilegiato e ci tiene a restarlo, fuori, a qualsiasi costo, da quel buco famigliare, conosciuto in ogni filo d’erba e in ogni granello di polvere, un buco dal quale fuggire, sì, ma che resta dentro, e diventa un marchio, indelebile.
A fare da cornice c’è l’alcool, in ogni sua declinazione. Eh sì, si beve forte, maschi e femmine, giovani e vecchi. Tutto un mondo gira intorno agli alcoolici: whisky di discreta qualità per le grandi occasioni, o whisky passabile, per chi balla al suono del juke-box. Poi c’è il fortissimo liquore di mais, distillato con sistemi a dir poco arcaici; berlo è un rischio per bocca, occhi, stomaco e intestino, produzione e vendita sono vietatissime, ma tutti sanno e si girano dall’altra parte. In questo, il North Carolina non è diverso da altri luoghi nel mondo con usi simili, tra chi produce vodka, grappa o altri torcibudella. Da non dimenticare le pinte di birra, anzi, leggendo cercate di immaginarle sempre sulla scena, anche di notte, perché una pinta di birra non si nega a nessuno, meglio se due o tre.
LO STILE
James Ross, affermato giornalista, è abituato al linguaggio della cronaca, e sa bene come accattivarsi da subito l’attenzione del lettore. Ma qui sembra aver raggiunto l’essenza della sottrazione linguistica, l’imperativo stilistico nel quale si sono poi affermati Carver, Hemingway e la grande letteratura USA del 1900. Una storia piena di dettagli, una giostra di personaggi, una trama avvincente riempiono più di 300 pagine senza un eccesso, senza compiacimento stilistico, senza sfoggio lessicale o sintattico. A volte sembra di leggere la didascalia di una foto, e va da sé che in poche pagine si resta affascinati da questo racconto che scorre come una pellicola. Il merito va anche ad una traduzione strepitosa, a firma di Seba Pezzani, a sua volta scrittore, e amico vero di Joe Lansdale, col quale cura (e traduce) una preziosa collana dell’Editore Perrone, dedicata proprio al noir rurale americano del secolo scorso.
Grazie mille per le belle parole! Seba Pezzani