Carla Magnani è tornata sul panorama editoriale l’11 novembre scorso con “Scritti di pensieri che mutano” (Chance Edizioni, Collana #ScritturaSpontanea), una raccolta di racconti brevi che ci accompagnano per un tratto, giusto il tempo di lasciarci dentro qualcosa di diverso.

Mutare è in genere quell’azione, o tensione all’agire, che attribuiamo alla sfera materiale e concreta. Talvolta si tratta di un moto che ci può sopraffare, quando ad esempio vorremmo perdurare in una data situazione o condizione. In alcuni casi invece la auspichiamo, quando al contrario stiamo cercando una soluzione che quasi ci possa portare in salvo.
In questa raccolta ogni racconto fotografa una sequenza di attimi, descritti da più angolazioni, restituendo come l’attraversamento del cambiamento, effettivo o apparente, portato a termine o solo possibile.
In questa oscillazione, tra temere e ricercare, si incastra un’eco di domanda rivolta al lettore: si tratta di scritti di pensieri mutevoli? O piuttosto sono i pensieri ad avere la capacità di far mutare il nostro sguardo verso di loro dopo averli scritti e poi letti?
L’autrice affronta un terreno spesso ignorato affondando le dita nel profondo dell’animo, facendo così emergere il bene e il male, quello che siamo senza inganni, con una scrittura che induce a considerare le nostre debolezze e i nostri sbagli occasioni per riflettere e trasformare la vita in un percorso di crescita.
In alcuni di questi tuoi racconti i personaggi hanno un nome e, alle volte, anche un cognome. È una scelta casuale o voluta?
Assolutamente voluta. Per me il nome deve necessariamente caratterizzare chi lo porta, dirò di più: arrivano a influenzarsi a vicenda. Mi è successo in alcuni casi, durante la scrittura, di notare come quello assegnato all’inizio a un personaggio non fosse del tutto adatto, non lo rispecchiasse appieno, allora mi sono messa a cercarne uno che gli corrispondesse maggiormente e non è sempre è stato facile trovarlo.
Esistono diverse definizioni del genere racconto date da più scrittori. Ne hai una tua?
Mi piace ricorrere a una similitudine: per me il racconto è come il tiro con l’arco. Con poco tempo a disposizione, concentrata al massimo, prendo la mira, lascio andare la freccia e devo fare centro. Non è detto che ci riesca; però ciò sta a dimostrare come sia un genere che, durante la scrittura, non concede distrazioni, cadute di stile e di contenuto, ma punti al perfezionismo.
Sei solita documentarti prima di iniziare a scrivere e, in tal caso, che tipo di ricerca fai?
Non sempre, ma spesso mi capita di dover prendere informazioni utili da altre fonti, come testi, internet, filmati. Dipende da ciò che intendo scrivere, ad esempio per un giallo, o per la descrizione di un periodo storico, di una ambientazione o di un personaggio realmente esistito. In questi casi non puoi prescindere da una conoscenza il più possibile corrispondente alla realtà, altrimenti rischi di commettere errori e mancanze imperdonabili.
Cosa chiedi alla scrittura altrui e alla tua?
Per entrambe desidero onestà, intenti che vadano oltre gli interessi prettamente commerciali. Occorre maggiore attenzione alla sostanza puntando sulla qualità della lingua, sui contenuti, suscitare riflessioni e domande nel lettore. Questo ultimo punto ritengo essere il vero compito della letteratura.
Una domanda che viene fatta spesso in chiusura è quella se, attualmente, stai lavorando a un altro libro.
Non so se diventeranno un libro, ma sto continuando a scrivere racconti perché li considero la mia comfort zone. Fanno parte di me. Ogni volta mi ritrovo in queste storie brevissime che sembrano premere per concretizzarsi attraverso la scrittura ed è grazie a loro che ho modo di esplorare l’animo umano, metterne in risalto i vari aspetti, dal più nobile al più meschino. Diventa un immergersi nella vita e questo mi emoziona. E poi, presto, uscirà un mio giallo.
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