Cari lettori, oggi Lina Morselli ci consiglia un libro intenso ed emozionante: “Il pozzo” di Regina Ezera, edito da Iperborea.
Questo libro ci porta in Lettonia negli anni ’70, quando era ancora in vita l’Unione Sovietica. Fuori dalle grandi città, la vita scorre lenta e lontana, così come lontane appaiono le cure delle politiche economiche, dei rapporti internazionali, della sonnolenta e assertiva stabilizzazione brezneviana. Qui ci muoviamo fra il fiume, il lago, le mungiture, il lavoro del Kolchoz e qualche coda inevitabile per le spese di casa. Qui la grande storia non entra, perché qui si parla di noi, di come siamo fatti dentro, e il mondo che si allarga pagina dopo pagina è sussurrato e nascosto, complesso come solo l’animo umano può esserlo.
LA STORIA
“Si avvicinò al pozzo e guardò dentro. La sua profondità lo sorprese … “. Già alle prime battute compare il pozzo del titolo, chi lo osserva è Rudolfs, uno dei protagonisti della storia. Accanto al pozzo accadranno gli eventi salienti di questo romanzo, la cui trama è molto semplice: un amore travolgente e impossibile fra un uomo e una donna. Ma proprio quella prima immagine del pozzo diventa metafora di quanto ci accompagnerà per tutta la lettura: “Lontano lontano sul fondo un piccolo cerchio grigio luccicava come una moneta, e un alito fresco e umido gli salì incontro”. Quella luce e quell’aria fresca sono l’immagine di lei, Laura, che abita vicino a quel pozzo, Laura la maestra, schiva, solitaria, discreta e bella come un giunco, della quale non si accorge nessuno, tranne Rudolfs, perché lui si affaccia sul suo sguardo, si sporge a fissare il fondo dei suoi occhi, e la “sente”. Rudolfs è un medico divorziato, con un figlio adolescente, abbandona Riga per una breve vacanza, e riflette sulla sua libertà, che gli permette sì di gestire il tempo a suo modo, ma della quale, alla fin fine, non sa che farsene, perché priva di amore e colma di solitudine. Laura è la maestra del minuscolo paese, esegue lavori a scuola durante l’estate insieme alle sue solite incombenze, fra la casa, l’orto e i suoi due bambini, un maschietto di 5 anni e una bambina di 8. Poi c’è Alvine, la suocera di Laura, che vive nella stessa casa con Vija, la seconda figlia di Alvine. Ma dov’è il marito di Laura? E’ in carcere, a scontare una pena per aver ucciso, casualmente, un amico durante una delle sue solenni bevute. E’ lui il fantasma potente: gli basta una lettera, ogni tanto, per rinsaldare le catene, per suscitare pietà, per ravvivare il senso di colpa. La suocera idolatra il figlio, avuto da un uomo che l’ha abbandonata, per poi avere un secondo marito, morto dopo averle dato la seconda figlia. Alvine vigila, ricorda, tiene vivo il figlio tra le mura domestiche, e non si domanda mai se davvero Laura sia così determinata ad aspettarlo. E’ grazie alla presenza di Rudolfs che Laura capisce: lei, quel ragazzo sfrontato e imprevedibile, in realtà non l’ha mai amato, eppure ora coglie quanto gli pesi avere come padre un uomo disonesto e brutale, comprende la difficoltà dei suoi bambini a padroneggiare il vocabolo “ delinquente”. Laura, fuori e dentro di sé, sostiene tutto questo, non ne può più, ma non sa come fare ad uscirne. Rudolfs è lì, non ci sono dubbi sul suo amore del quale lui per primo si stupisce, è disponibile, bello e forte, colto, avvezzo alla vita e alla città, e ha instaurato un rapporto sincero, schietto e ammirevole con i bambini. Allora, perché Laura piange disperata?
I PERSONAGGI DI CONTORNO
Ci sono poi Marjia ed Eidis, gli anziani che ospitano Rudolfs nel loro fienile. Perché in quegli anni, nella Lettonia sovietica, si viveva anche così, e a Rudolfs va benissimo lasciare la sua scomoda tenda da campo per ricavarsi un letto tra la paglia sotto il tetto. I due anziani sono per lui presenze di sostegno e di bontà, nella loro semplice quotidianità fatta di panna fresca, mungiture e battibecchi. Alla giovane e sfrontata Vija, pericolosamente dedita all’alcool e quasi sempre fuori casa, spetta il compito di rappresentare la rabbia per una vita povera e insufficiente, per un aspetto fisico goffo, per l’insofferenza verso una famiglia e un paese per lei opprimenti. Non mancano cani e gatti, che compaiono qua e là, perché di loro non si può fare a meno, come ben sanno Canaletto e molti altri artisti.
UNA NATURA IPNOTICA
Ma la vera co-protagonista è la natura. L’affermazione rischia di appiattire e banalizzare la meraviglia dell’ambiente in cui si muovono gli esseri umani. Già la descrizione del pozzo ha introdotto un climax e una scelta narrativa, ma via via la lettura si fa ipnotica proprio all’interno della costruzione ambientale. “Costruzione”, perché non si tratta di un’accademica descrizione di colori o forme: qui le parole fanno “sentire”, e in questo il lettore arriva a provare lo stesso stupore di Rudolfs quando si affaccia al pozzo e quando si mette in sintonia con la spiritualità e i sentimenti di Laura. Il suo udito, e il nostro, percepiscono così il fruscio del vento tra le foglie, il sussurro dell’acqua nel fiume e nel lago, il ronzio degli insetti, il rumore delle mele che cadono (!), il cigolio della catena del secchio nel pozzo, il raschiare della cima a fermare la barca intorno al tronco di un albero, e persino il ritmico sfregolio della falce che taglia l’erba alta.
In punta di piedi, senza strepiti e con commosso rispetto, entriamo nell’anima di un paesaggio, la Lettonia ci porge così il suo biglietto da visita, e nello sesso tempo ci invita a guardare agli anni nel nostro ricordo, facendoci ritrovare odori, suoni, rumori ed emozioni.
RUDOLFS E LAURA
Torniamo a Rudolfs e Laura. La loro è una storia ben conosciuta, quasi banale, ma grazie alla penna di Regina Ezera la trasformano in una malia. Pochissime sono le loro parole, molti sono i gesti, molti sono gli sguardi, si susseguono le attese, i sorrisi ad occhi bassi, le braccia alzate in saluti lontani, a sottintendere un tempo più vicino, a sperare in uno spazio segreto. Tra loro ci sono i bambini, i familiari, i vicini, quel piccolo mondo che sembra così grande. Laura si specchia e si scopre bella, Rudolfs in lei trova una ragione nuova per sentirsi un uomo completo e resta ammaliato dal tocco ventoso dei capelli di lei. In un crescendo di tensione, di attesa, di svelamenti si arriva al finale, del quale come sempre qui non si dice, se non che ci porrà serie domande sul dovere, sulla libertà, sul diritto alla felicità, sugli obblighi familiari, e su altro ancora, lasciandoci muti. Risuoneranno a lungo, in noi lettori, le parole di Laura:”In fin dei conti, non è tutta la vita un’unica lotta per ottenere qualcosa, e l’impossibilità di conservarlo?”.
LA TRADUTTRICE E L’AUTRICE
E’ d’obbligo un applauso, con sentito ringraziamento, alla traduttrice Margherita Carbonaro, che firma anche un’interessantissima postfazione. E ancora grazie all’editore Iperborea, per la sua capacità di farci conoscere letterature nascoste e bellissime, angoli d’Europa di pregevole valore, e grandi scrittori, come nel caso di Regina Ezera, pluripremiata in Unione Sovietica e oggi ritenuta una delle grandi voci della scuola lettone.
(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)
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