Cari lettori, oggi Lucia Gandolfi ci parla di “Oltre Dracula“, un libro di Mario Casella, edito Ediciclioeditore.
Diario di viaggio per un cammino invernale nei Carpazi suddiviso di ventinove tappe. Una lettura che può appassionare chiunque, non solo chi ama la montagna. Un percorso narrativo che come lettrice ho potuto apprezzare per l’idea di fondo di questo libro e di questo lungo viaggio: il contatto umano con le persone che abitano questi luoghi impervi e poco accessibili. Incontri, luoghi, personaggi, gente comune, metri di neve, tappe non sempre previste, ma che hanno regalato all’autore paesaggi e nuove storie.
L’AUTORE
Mario Casella è guida alpina, giornalista per la Radiotelevisione Svizzera – RSI e filmmaker. Ha salito alcune tra le cime più alte del mondo. Ha pubblicato diversi libri in italiano e in tedesco tra cui Nero-bianco-nero: un viaggio tra le montagne e la storia del Caucaso, e Il peso delle Ombre. Con Fulvio Mariani ha ideato e prodotto per RSI “Sottosopra”, una trasmissione dedicata alla montagna.
TRAMA
Un viaggio lungo tutto l’arco dei Carpazi suddiviso in due inverni consecutivi per un periodo totale di circa quattro mesi. Viaggio fatto con gli sci, ove possibile, a piedi e con alcuni spostamenti tecnici in auto. Carpazi e Dracula sono un binomio immediato: Mario Casella ci avvisa subito che non sarà questo il tema del suo cammino. Camminare in un territorio equivale a raccogliere e trasmettere storie che altrimenti rimarrebbero prigioniere di questi luoghi. Un viaggio ha comunque un tema che lo contraddistingue, quasi un sentiero su cui camminare e da cui allontanarsene di tanto in tanto. Sangue, ferro e legno declinati in molti modi: nella storia, nella geografia, nella vita quotidiana. “Il sentiero che dovevo seguire con i miei passi era così segnato: sangue, ferro e profumo di resina. Un odore intenso che – anche nel gelido inverno – ti entra nelle narici quanto attraversi un bosco di conifere appena tagliato.”
VI RACCONTO
Ogni percorso un esergo, monito al lettore e speranza nello scrittore che vuole lasciare aperta la porta alle occasioni non previste, alle strade alternative, alle scelte di viaggio. Mettersi in cammino ha in sé il germe dell’imprevisto. Organizzare l’indispensabile, e lasciarsi guidare da ciò che si trova sul proprio cammino. “Bran Stocker – Dracula – Da quanto ho letto, ogni superstizione è annidata lì, racchiusa nel ferro di cavallo dei Carpazi, quasi fosse il centro di un vortice dell’immaginazione. Se così fosse, il mio soggiorno promette d’essere molto interessante.”
S’impone, da parte mia, una scelta su cosa raccontarvi di questo libro che ho trovato molto ricco: lo testimoniano le numerose sottolineature e i commenti a margine. Voglio partire sottolineando l’importanza e la bellezza della scelta stilistica dell’autore che utilizza come base tanto per il viaggio quanto per il diario: Il lento camminare, l’emozione degl’incontri, la storia dei luoghi e dei suoi abitanti, delle guide con cui ha condiviso parte del percorso e i cambi di programma imposti dal generale Destino.
“Mi sento una sorta di Don Chisciotte armato di sci e zaino anziché di lancia e scudo. Io sfiderò, in maniera più modesta e terrena, i boschi e le vette dei Carpazi per conoscerne gli abitanti, la storia e le leggende. Già settant’anni prima di questo mio viaggio due illustri narratori avevano intrapreso un’avventura per molti versi analoga. John Steinbeck e il fotografo di origini ungheresi Robert Capa partirono alla scoperta della Russia, ne scaturì un reportage A Russian Journal nella cui introduzione gli autori dichiararono i loro intenti: ‘Decidemmo di partire per una ricerca alla vecchia maniera di Don Chisciotte e Sancho Panza. Di cavalcare oltre la cortina di ferro e puntare le nostre lance contro i mulini a vento di oggi.’ Partirono senza alcuna agenda politica, senz’altro scopo che quello di realizzare un reportage onesto, annotare quando vedevano e sentivano senza aggiungere alcun commento editoriale, senza trarre conclusioni su una realtà che non conoscevano a sufficienza”
Sfoglio il libro avanti e indietro cercando tra i miei appunti quale parte farvi raccontare direttamente dalla voce dell’autore. Leggendolo, anche se comodamente seduta e al caldo, ho provato le stesse sensazioni ben descritte: di neve bagnata che inzuppa i vestiti, dei morti in guerra, delle numerose tazze di tè caldo, della vita diversa che queste persone vivono e alla quale non rinuncerebbero mai, del meraviglioso spettacolo della natura e soprattutto del calore umano degli incontri.
“Per oltre settecento chilometri, sotto la spina dorsale dei Carpazi, corre un sistema di gallerie denominato Linea Arpad e creato un’ottantina di anni fa per arginare l’Armata rossa. Fu scavato a partire dal 1939 dall’esercito ungherese e diventò poi, alla fine della seconda guerra mondiale, la linea di contatto tra i nazisti in fuga e l’onda di avanzamento e del blocco sovietico.
Guardo incredulo la corrugata mappa in plastica e mi rendo conto che il mio percorso verso est si sovrappone spesso alla linea tratteggiata delle fortificazioni. Senza rendermene conto ho camminato per settimane sulla storia dei Carpazi, calpestandola con i miei passi ignoranti. Non sarà più la stessa cosa da qui al Danubio. A ogni metro farà un effetto strano chiedersi se sotto gli sci, sotto la neve e nelle viscere delle colline c’è qualche caverna o galleria dov’è ancora rinchiusa l’aria pesante e viziata della seconda guerra mondiale. L’uomo ha scavato le gallerie per difendersi dal nemico e le ha poi occultate per decenni. […] Ivan è scatenato: corriamo da una galleria all’altra per sbucare di tanto in tanto in locali enormi, ora vuoti ma dove una volta c’era una città sotterranea autonoma, come suggeriscono le parole scandite con fierezza dalla nostra guida: ‘L’ospedale, le cucine, le camerate dei soldati e quelle degli ufficiali, i gruppi elettrogeni, il sistema di ventilazione, le canalizzazioni, i magazzini…’ […] naso, orecchie e occhi: mi sento quasi un piccolo sergente nella neve. Un modesto esploratore cui, dopo aver camminata centinaia di chilometri, sono bastati pochi passi sottoterra per capire un po’ meglio la tragedia delle guerre invernali che hanno avuto come teatro questo angolo d’Europa.”
PER CONCLUDERE
È un libro che sono stata contenta aver trovato sul mio cammino e che consiglio leggere. Un percorso che non si esaurisce alla prima lettura sia per gli argomenti trattati che per il dialogo che Mario Casella intrattiene con i lettori e per le numerose citazioni, i fatti storici, le leggende sparse per tutto l’arco dei Carpazi. Un plauso anche a chi ha scelto la copertina: un bosco bianco in campo nero trasmette le sensazioni di silenzio, meditazione e mistero: componenti essenziali di questo libro. Al prossimo viaggio.
(RECENSIONE DI LUCIA GANDOLFI)
0 commenti