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Come in cielo, così in mare – Giovanni Gusai

Autore: Giovanni Gusai

Editore: SEM

N. pag: 240

Anno: 2021

Valutazione: 5/5

A cura di: Lina Morselli

Categorie: Libri | Lina Morselli

Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla del romanzo “Come in cielo, così in mare” di Giovanni Gusai, edito da SEM.

Grazia Deledda, Matilde Serao, Giuseppe Dessì, Gavino Ledda, Emilio Lussu, Milena Agus, Michela Murgia, Salvatore Niffoi, Salvatore Satta, Marcello Fois, Maria Giacobbe, Antonio Gramsci, e ancora Maria Carta e Andrea Parodi: sembra una formazione calcistica, una Nazionale sarda, completa delle riserve, un grandissimo gruppo, che sobbalza come i mammutones, mangia pane carasau, canta e parla con accenti e suoni arcaici, che mettono soggezione. Oggi la squadra ha un uomo in più: è arrivato Giovanni Gusai, da Nuoro.

LA TRAMA

Il trentenne Antine Farina finalmente si laurea in architettura a Milano, poi, come di prassi, si concede una notte brava. Durante quella stessa notte muore sua nonna paterna, una novantanovenne mai conosciuta, nata cresciuta e vissuta a Locòi, nel cuore della Sardegna. Antine vorrebbe sottrarsi ai riti di un lutto che non riesce a sentire suo, ma il pianto del padre lo induce a seguire tutta la famiglia in un viaggio che da subito si presenta come il classico nodo venuto al pettine. Perché il padre Salvatore per 30 anni non è più tornato in Sardegna? Perché non ha fatto nulla per far conoscere la sua terra ai figli, almeno una volta? Perché ai funerali della nonna non partecipa il nonno, del quale in paese non c’è traccia? Il viaggio in traghetto, andata e ritorno, ha un biglietto che vale tre giorni, alla fine dei quali Antine decide di restare ancora un po’, una settimana al massimo, per conoscere il più possibile un mondo bello da mozzare il fiato. Dove andare e cosa vedere glielo suggerisce Niàda, la ragazza che ha fatto da badante alla nonna, e che sa quanto Antine ancora ignora sulla storia della sua famiglia, compreso il motivo della rottura tra suo padre e suo nonno, il pastore Bertu Farina. La settimana diventa un’intera estate, perché la risposta ai suoi perché non arriva dal padre (“E’ troppo tardi”), né da Niàda (“E’ troppo presto”), e Antine decide di concedersi un tempo sabbatico, il lavoro verrà dopo, uno stipendio ci sarà anche per lui, ma intanto vuole arrivare da solo dove suo padre non l’ha condotto. Accetta un posto come barista in una birreria artigianale per turisti, per due mesi, fino alla fine dell’estate. Conoscerà suo nonno Bertu, che vuole finire i suoi giorni nell’ovile in montagna con la sola compagnia delle capre. Dovrà decidere come gestire l’intenso rapporto con Niàda. Dovrà fare i conti con il vissuto del padre e con la versione del nonno. Dovrà scegliere tra la Sardegna e il resto del mondo. 

I PAESAGGI E IL MARE

La narrazione si fa via via più tesa e gravida di aspettative, senza lesinare colpi di scena finali con un ritmo che mai viene meno, neppure quando la scena è dei paesaggi, degli odori, dei colori, e del mare, che sembra essere l’alfa e l’omega di tutto il mondo. Nel suo eterno movimento separa l’isola dalla terraferma, ma anche definisce le sensazioni, racchiude il senso ultimo delle cose e delle persone, fino ad indurre il nonno Bertu, duro e fragile nello stesso tempo, a chiedere che tornino al mare le sue ceneri. Quando Antine esplora l’isola, quando cerca se stesso nei sentieri intorno a Locòi, si riempie gli occhi di ogni sfumatura, di ogni gioco di luce, fino ad arrivare all’apertura dell’azzurro. Il tempo di Antine si modifica, fino a rendergli chiara la differenza sostanziale fra quanto offre la vita nell’isola e la vita a Milano: il nonno apparteneva al suo territorio, e questo ha fermato il dialogo col figlio, che aveva preferito un’altra dimensione, minimizzando e irridendo la simbiosi del padre con la natura. Deve arrivare l’autunno per far sì che Bertu e Antine finalmente si conoscano, nell’eroico tentativo di colmare un vuoto affettivo che ha pesato sulla vita di entrambi. E la narrazione accelera, sembra assecondare la fretta di nonno e nipote, ben coscienti che di tempo ne resta poco, i 93 anni di Bertu non concedono tregue. 

ALLA FINE

Il finale chiarisce e svela, e come sempre lascio al lettore il compito di scoprire le risposte a tutte le domande di Antine, compresa quella rivolta a se stesso nella sua scelta di vita e nel suo rapporto con Niàda. Se a tratti la lettura può indurre ad intuire come si evolveranno i fatti, resta però la sorpresa di arrivare fino alle ultime righe per chiudere il cerchio, e per sentire una commozione che niente ha di sdolcinato o di scontato. Perché questa storia non si allontana mai dalla concretezza, dalla realtà, anche la spiritualità è solida quanto le rocce di arenaria che circondano l’ovile di Bertu: il mondo arcaico del vecchio e quello contemporaneo del nipote si integrano e si incontrano nella conoscenza delle proprie anime, nella possibilità di scegliere, sempre, ciò che ci fa stare bene, senza cedere alle convenzioni e ai meccanismi economici. A noi tutti resta l’impegno di rispondere, ognuno per sé, ad alcune delle grandi domande del nostro tempo, le stesse che Antine si pone dopo aver conosciuto il nonno, la sua terra e la sua gente: si può stare nel mondo di internet e dei telefonini, pur scegliendo di vivere ai margini? Cosa in realtà è marginale? Si può scavalcare un confine e vivere realmente come si vuole e si sente? Giovanni Gusai suggerisce risposte, senza pretendere di possedere la verità rivelata, ma tende una mano ai nostri disagi e alle nostre fatiche quotidiane, ci guida su sentieri non segnati e ci mostra un possibile orizzonte. 

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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