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Autori italiani? No, grazie! Il caso Urania

A cura di:

Virginia Villa

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La dichiarazione di Franco Forte, direttore editoriale di Urania, fatta lo scorso 12 ottobre al Festival del Libro Fantastico “Stranimondi” riguardo alla decisione di interrompere la pubblicazione di opere di autori italiani, ha profondamente scosso la comunità dei lettori e autori di fantascienza italiana. Nonostante il mantenimento di due spazi dedicati alla produzione italiana, il Premio Urania per romanzi e il Premio Urania Short per racconti, la decisione di Urania rappresenta per molti la fine di un’epoca.

Colpa dei lettori o mancanza di investimenti nella Fantascienza Italiana?

Le reazioni non si sono fatte attendere: social, blog e siti dedicati alla fantascienza sono stati attraversati da un’ondata di scontento e riflessioni sulle motivazioni e sulle possibili conseguenze di questa scelta. Resta agli atti l’analisi di Franco Forte, che attribuisce la decisione alla scarsa risposta del mercato. In breve, le opere italiane venderebbero troppo poco per essere sostenibili, e il pubblico mostrerebbe una generale mancanza di interesse verso la produzione nostrana. Forte sottolinea anche un elemento di pregiudizio: secondo lui, una parte dei lettori italiani sarebbe scettica o addirittura prevenuta nei confronti della fantascienza italiana, preferendo autori stranieri che vengono percepiti come più autorevoli o coinvolgenti. Questa dichiarazione ha suscitato un misto di rabbia e amarezza tra gli appassionati e gli scrittori del genere. L’idea che il pubblico italiano possa essere “colpevole” del disinteresse verso i propri autori ha sollevato domande fondamentali sulla relazione tra lettori e autori italiani, ma anche su quanto sia realmente efficace la promozione di queste opere da parte di Urania, e ancora di più, di Mondadori. Ci si domanda: i lettori italiani hanno davvero pregiudizi così radicati, o è il risultato di una scarsa valorizzazione e visibilità degli autori nostrani? In che misura Mondadori ha investito nella promozione della fantascienza italiana? E cosa si potrebbe fare per avvicinare i lettori a questi contenuti, sviluppando una cultura che favorisca la scoperta e la fiducia nella qualità degli autori italiani?

Logiche commerciali

Questa situazione, inoltre, solleva interrogativi sul ruolo stesso di una realtà storica come Urania, che per decenni ha rappresentato il principale punto di riferimento per la fantascienza in Italia. Il fatto che un brand così consolidato non riesca più a trovare spazio per autori italiani suggerisce una crisi profonda, non solo di mercato ma di identità: Urania sembra ormai allontanarsi dalla missione di scoprire e valorizzare il talento italiano per abbracciare una logica puramente commerciale. La speranza è che, nonostante le attuali difficoltà, Mondadori possa cogliere l’occasione per riflettere su come rinnovare la propria strategia editoriale. Rafforzare la presenza degli autori italiani, investirvi con lungimiranza, e offrire loro spazi e visibilità concreti potrebbe portare a una nuova stagione per Urania, una stagione che non solo rispetti la tradizione ma apra prospettive di rinnovamento e crescita culturale per la fantascienza italiana.

La riflessione di Alan Bassi

Abbiamo chiesto a Alan Bassi, autore ed editor con una profonda conoscenza del settore, di condividere il suo punto di vista sulla questione.

 

Dunque, ricapitoliamo: a Urania servono lettori, ma intercettarne di nuovi è inammissibile. Perché Urania merita rispetto, non importa se i giovani a malapena sanno che esiste. Devono comprare i volumi e basta. E se non lo fanno la colpa è sia loro che dei fedelissimi, che non lo fanno abbastanza. Sono ingrati. Servono più sforzo, più devozione.

 

Allora organizziamola, questa battuta di caccia tra le edicole alla ricerca del nuovo numero di Urania. Ci ho pensato io, l’altro giorno.

Prima edicola: “Non ce l’ho, questo mese non mi è arrivato”.

Seconda edicola: “Non ho mai tenuto gli Urania”.

Riprendi la macchina, parti, cerca di capire dove si trovano le altre edicole – il tutto a discapito del tempo che, magari, avrei potuto utilizzare per lavorare, fare la spesa. Comunque: la terza edicola non ha il parcheggio. Mi faccio un chilometro a piedi per arrivarci e un altro per tornare alla macchina, con il peso bruciante del terzo fallimento sulle spalle: “Me ne è arrivata solo una copia e l’ho già venduta”. Non ho più fortuna con le ultime due edicole della mia città: “Avrebbe dovuto arrivarmi ma non ho visto niente”; “Arriverà domani”). E niente, torno a casa con le pive nel sacco, come si suol dire.

 

Questa, però, è una determinazione che è possibile chiedere a uno come me, che sono un collezionista. Uno che negli anni ’80 e ’90 c’era – oddio, negli ’80 giusto per un pelo – e che ha letto svariati Urania, e sempre li ha cercati nei mercatini alle fiere dell’antiquariato. Ma il nuovo pubblico di lettori non assomiglia a me. Non deve. Ha nuove forme, nuove culture e tradizioni, un nuovo linguaggio, nuovi gusti, occhi, lingua, fegato. Perfino il loro odorato è diverso: fiutano tracce olfattive su uno schermo, mentre io cucinavo stufati di carta, inchiostro e macchie di umidità. Non ha neanche la stessa età, forse, e magari nemmeno le stesse possibilità. I giovani – a seconda dell’età – hanno una macchina? Il tempo di vagare tra edicole, la determinazione per cercare qualcosa che neanche conoscono? E già li sento: i mormorii di chi borbotta che i giovani dovrebbero interessarsi di più, che la colpa è loro perché non sanno le cose, non sono riconoscenti. Sarà.

 

Intanto, Urania resta legata al solo blog. Non vuole aprire canali social, sponsorizzarsi, promuoversi. “Perché Mondadori dovrebbe?” ha chiesto Franco Forte, ma forse dovrebbe rispondere lui. Perché, secondo Forte, Mondadori dovrebbe cercare di intercettare i nuovi, numerosi lettori di fantascienza e fantastico? Che forse non siano solo loro a non conoscere Urania, ma Urania a non conoscere loro?

 

Certo: io non ho la verità in tasca, questo va detto. Tanti dei meccanismi dietro le quinte mi sono sconosciuti. La frustrazione manifestata da Forte potrebbe essere più che giustificata. Comprensibile. Resta però il fatto che non tutto è dovuto e che un antico lustro, pur meritato, potrebbe non essere garanzia di gloria eterna. Tutto deve innovarsi e rinnovarsi, se vuole sopravvivere: adattarsi alle nuove condizioni del mondo che cambia. Anche se fa paura. Anche se siamo progettati biologicamente per guardare all’ignoto con sospetto.

 

C’è un nome per questo: io la chiamo resistenza al cambiamento. È un morbo che colpisce certe fasce d’età più di altre, su questo penso che siamo tutti d’accordo; la cosa preoccupante è, però, che abbia superato la barriera di contenimento rappresentata della fantascienza. O così credevo.

 

Cambiamento. Chi lavora in questo settore da tanto tempo dovrebbe saperlo bene: cos’è la fantascienza, se non una speculazione a partire da un “e se”? L’alterazione della realtà è il punto di partenza per ogni congettura fantascientifica. Ed è questo che la fantascienza ci insegna: a osservare come il mondo può modificarsi, come noi stessi possiamo farlo senza perdere la nostra coscienza, al prezzo – forse – della nostra identità. O forse no. Forse è possibile salvarla. Ma è così importante? È importante il fatto che oggi io abbia questa forma, che un giorno i funghi mi decomporranno e allora sarò tiglio, rosmarino, marmotta o un altro essere umano? Se la mia coscienza sopravviverà o meno – è importante? Per chi? Da quale punto di vista? La fantascienza è generativa, ci spinge a contemplare il mondo senza di noi o con una nostra versione differente, ibridata con altre specie. Un mondo-altro, in cui i nostri successori – se ci saranno – dovranno avere la piena libertà di raccogliere le macerie del mondo che c’era in precedenza per sfruttarle a loro piacimento. Oppure lasciarle lì, creare qualcosa di nuovo. Lasciarci indietro. Senza doverci nulla.

 

È impossibile sfuggire al cambiamento. Vale per ogni contesto, a ogni livello sociale. È il cambiamento a portare decomposizione e rigenerazione, e il nostro compito è accettarlo, accoglierlo, lasciare che ci decostruisca. Adattarci. Evoluzione della specie. La nostra? Una nuova? Non lo sappiamo. Serve saperlo?

 

Nel mio romanzo, “Oltre la nebbia”, la protagonista resta a lungo in un bunker, decisa a non uscire. Fuori c’è la nebbia: densa, corrosiva, generata da una commistione mefitica di fertilizzanti biochimici e inquinamento portato all’eccesso, ha invaso le città e costretto l’umanità a fuggire sempre più in alto, per trovare un rifugio sicuro oltre la nebbia. Oltre la coltre mortale che, al suo interno, sta alterando i DNA di piante e animali. Nel bunker, Carlotta è al sicuro: cibo, acqua, aria depurata. Ha tutto a sua disposizione. Fino a quando?

Prima o poi dovrà uscire. Affrontare la nebbia, che lei percepisce come una minaccia, perché per noi questo è ciò che distrugge lo status quo. Ciò che ci strappa via la nostra illusione di controllo, potere e comodità. L’illusione che tutto ci sia dovuto. Ma restare nel bunker equivale a morire, e se Urania morisse, se non si aprisse al pubblico di nuovi lettori di fantascienza prima che il tempo a sua disposizione scada… cosa succederebbe? Chi ne soffrirebbe? I collezionisti, che continuerebbero a vagare come sopravvissuti in un mondo post-apocalittico tra gli scatoloni di vecchi Urania alle fiere dell’antiquariato? Gli autori e addetti ai lavori di Urania? Qualcun altro?

 

Di certo io non auspico che ciò accada. Ho un legame profondo e affettivo con Urania, pregno di infantile nostalgia. Più passa il tempo, però, più sento discorsi come quelli degli ultimi giorni e più capisco che questo mio affetto somiglia al sentimento che proviamo per qualcuno che una volta abbiamo amato, con cui pensavamo avremmo costruito una vita, ma che poi si è rivelato essere una persona che aveva del lavoro da fare su di sé.

 

Può Urania lavorare su di sé?

Nel mio piccolo ritengo di sì, da molti punti di vista – ammesso che la casa madre glielo consenta, certo. Su questo non so nulla, ma del resto non lavoro con o per loro. Mi mancano dei pezzi. Sono pronto ad ascoltare.

 

Urania vuole?

Questa è un’altra storia. Una che spero presto, con tutto il cuore, di leggere.

 

Alan Bassi è autore ed editor, attraverso il sito Rifiuti Letterari offre agli autori diversi servizi editoriali.

Puoi trovarlo anche su Instagram e Facebook

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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