Carlo Morriello, docente di lettere originario di Napoli, esordisce nella narrativa con “Oltre l’ombra dei colori“, uscito per Bookabook. Il romanzo, frutto di tre anni di lavoro, unisce arte e psicologia in una Napoli di fine Ottocento, seguendo le vicende di Michele Castaldo, un giovane pittore alle prese con un importante incarico e una profonda crisi identitaria. Tra lutti recenti, misteri e amori mai sopiti, il protagonista affronta un percorso che lo porterà a rimettere in discussione tutto ciò che credeva di sapere su sé stesso.
Carlo, sei già autore di racconti in passato. Ti risulta più facile la stesura lunga e articolata di un romanzo o la brevità in cui si concentra un racconto?
Il racconto e il romanzo: due percorsi di scrittura diversi, entrambi con la loro complessità e fascino. Ci sono storie, secondo me, che si prestano a essere raccontate in un modo piuttosto che in un altro. Personalmente, se si può parlare di facilità, ho trovato più facile scrivere racconti brevi; scrivere un romanzo, invece, presuppone un “maggior controllo” della scrittura, nel senso che, poiché ci si trova di fronte a un intreccio in genere più complesso di quello di un racconto, i fili da tenere in mano sono molti di più: profondità, analisi dei personaggi, complessità della storia, costruzione del mondo che richiede più dettagli, tempo da dedicare alla stesura. Il racconto breve a volte scaturisce da un’immagine e mantiene, per certi aspetti, la freschezza intuitiva e creativa; il romanzo invece è un caleidoscopio, ricco, complesso e molteplice.
Pronuncio un nome solo: “Napoli”. Lascio a te la libertà di completare il mio incipit…
Napoli è per me infanzia, memoria, vivacità, mistero, magia. Ma anche identità, senso di appartenenza a un popolo e a una terra che accompagna ovunque, per quanto – nel mio caso specifico – possa avere da anni lasciato la mia città.
Emergono temi legati ad amore, tradimento, segreti sepolti e la lotta del protagonista per discernere la verità tra realtà e illusione. Al posto di Michele, tu avresti voluto scoprire la tua vera identità?
Penso proprio di sì. In Michele c’è tanto di me, per cui non mi piacerebbe convivere con l’idea di non sapere nulla di me, del mio passato, della mia identità. Come dice il proverbio? “Meglio una verità che fa male che una bugia che illude”. Concordo pienamente.
Leggendoti, una delle domande che mi sono posta spesso è: “Quando si ama, è giusto proteggere chi ci è carodalla crudeltà della verità?”. Tu cosa ne pensi?
Una domanda che apre diversi scenari. Al di là del romanzo, da un lato il senso di protezione verso chi si ama è a volte molto forte e si farebbe di tutto per proteggerlo dalla crudeltà della vita; dall’altro penso che, se realmente amiamo qualcuno, dobbiamo lasciare che possa e debba fare liberamente esperienza della vita, la quale non è tutte rose e fiori.
Senza spoilerare, una collana di zaffiro diventa un filo conduttore chiave: quanto è presente una sorta di simbolismo nel libro?
Il simbolismo è molto presente nel mio romanzo, non solo in merito alla collana di zaffiro. Nello specifico, però, quest’ultima rappresenta la fedeltà, l’amore, il mantenere la parola data, tutti elementi che sono un po’ il leitmotiv della storia. Qualcuno ascrive il mio romanzo al genere thriller, al noir, al romanzo psicologico. Condivido, invece, ciò che ha scritto un mio lettore: “Per me è un giallo in abito rosso”, volendo intendere che l’abito rosso è l’amore declinato in varie forme. Ecco, la collana di zaffiro riassume egregiamente quest’abito rosso.
In chiusura, le vicende di Michele Castaldo sono giunte al termine o potrebbero avere un seguito?
Ci penso spesso a un seguito, anche perché diverse “porte” sono volutamente rimaste aperte e il pensiero di un seguito viene spesso a “tormentarmi” … Ho già preso diversi appunti. Vedremo… non escludo nulla, anche se ora, in concreto, sto lavorando a un romanzo molto diverso da Oltre l’ombra dei colori.
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