Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla di un libro sorprendente e meraviglioso: “La storia di Qui Ju” di Chen Yuanbin, edito Asia Sphere.
Questo è uno strano libro, che vive in simbiosi con il film omonimo. Correva l’anno 1992 e con “La storia di Qiu Ju”, interpretato magistralmente dalla bellissima Gong Li, il regista Zhang Yimou vinceva il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Da allora, il libro risulta in pratica l’unico titolo dell’autore ad essere letto in tutto il mondo. Applausi alla Casa Editrice Asia Sphere, che l’ha rieditato in una traduzione riveduta, corretta e filologicamente più accurata, a detta dello stesso traduttore.
LA TRAMA
Qui Ju è una giovane sposa che vive in uno sperduto villaggio rurale, è sposata, e la sua giornata è scandita dal ritmo del lavoro nei campi. La piccola comunità obbedisce al capo villaggio, ligio esecutore delle direttive ufficiali in materia di specie da coltivare, tempi da rispettare, quantità di prodotto da garantire. Ma il marito rivendica una sua autonomia quando decide di seminare grano in mezzo alla grande estensione di colza, sostenendo che deve essere rispettata una precisa rotazione agricola.
Il campo di grano di competenza dei coniugi è proprio all’ingresso del villaggio e una sola striscia di grano in mezzo alla colza appare come una chiara e visibile disobbedienza a chiunque passi di lì, compresi eventuali ispettori statali. Così il capo villaggio pretende che il marito di Qiu Ju sradichi tutte le piantine di frumento per uniformarsi alle sue volontà, ma il contadino si ribella, ne scaturisce un litigio furibondo e il capo finisce per prendere a calci l’insubordinato agricoltore, proprio tra le gambe, aggiungendo una pedata ben assestata anche fra le costole. Mentre il marito resta a letto a curarsi le ferite, Qiu Ju decide di cercare giustizia: vuole che il capo villaggio si scusi ufficialmente per quella che lei ritiene una mancanza di rispetto tale da non poter essere giustificata, nemmeno di fronte ad una disubbidienza. Inizia così un iter legale che porterà la giovane a rivolgersi a tutti i gradi di giudizio previsti nella Cina maoista. Subito viene riconosciuto il diritto del marito offeso a ricevere un indennizzo in denaro, ma Qiu Ju rifiuta i soldi, lei vuole le scuse ufficiali, e procede nella denuncia, nonostante il marito stesso la consigli di desistere, perché in fondo lui stesso aveva disubbidito, e avrebbe dovuto essere più conciliante.
A questo punto però la giustizia si esprime in modo diverso: se la prende con il funzionario provinciale, che non ha esercitato correttamente i suoi compiti di indagine e sorveglianza. Il tutto proprio a ridosso dell’approvazione di una legge che dà la possibilità ai cittadini di denunciare la Pubblica Amministrazione per negligenza, qualora ce ne siano gli estremi. Il gioco si fa pesante, e la povera Qiu Ju a malapena capisce tutti i meccanismi burocratici e procedurali, ma anche di fronte al supremo appello giuridico, molto semplicemente, continua a pretendere solo le scuse, pubbliche ed ufficiali, per il torto subito dal marito. La Suprema Corte rilegge, ascolta, rivede, ripercorre l’accaduto e ritorna alla fonte di tutto, riconoscendo nel capo villaggio negligenza e abuso di potere: l’uomo viene ammanettato, di fronte a tutta la comunità ammutolita, e portato chissà dove.
Qiu Ju resta senza parole: non voleva si giungesse a tanto, le bastavano le scuse, tutto il resto è più grande di lei. Vero è che un giovane ispettore agrario riconoscerà che il capo villaggio aveva ignorato i principi basilari della rotazione agricola, per cui avrebbe dovuto prevedere la semina di grano, non di colza, quindi aveva torto marcio e la ragione era tutta dalla parte dei giovani coniugi. Ma non c’è tempo né per gioire né per riflettere: il lavoro nei campi deve andare avanti, a testa bassa, e lì si chiude la storia.
IL SOSTEGNO DEL GOVERNO CINESE
Qui viene esaltata un’idea della società cinese quasi idilliaca, nel rapporto tra la gente comune e il potere. Un capo cattivo è messo di fronte alle sue responsabilità proprio da gente del popolo, in un contesto di certo complesso, ma capace di esprimere vicinanza, solidarietà e comprensione, fino a rappresentare un apparato statale che chiede scusa per la manchevolezze del proprio operato.
Persino i linguaggi si uniformano in semplici enunciati, in un chiaro intento di andare il più possibile vicino alla semplicità e all’immediatezza di Qiu Ju. Né si nasconde che proprio la protagonista ha qualche difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma poco male: intervengono gli scrivani, i funzionari sono pazienti, gli avvocati si adeguano alle sue esigenze.
Tanta armonia regna anche nel rapporto fra le persone: quando Qiu Ju deve recarsi in città e soggiornarvi per alcuni giorni, trova amicizia e spontanea solidarietà da parte di tutti, compreso un albergatore che le sconta il prezzo della camera (pulita e con le lenzuola sempre fresche). A sua volta la città appare un po’ caotica a confronto con il lento e silenzioso vivere della campagna, ma colori, suoni e attività si sovrappongono in un fervore di vita produttiva e vivace, nella quale non c’è posto per l’alienazione o per altri problemi di sovraffollamento.
La storia giungeva a fagiolo, subito dopo i fatti di Piazza Tienanmen, quando diventava indispensabile ridare credibilità e consenso al sistema del Partito Comunista Cinese. Appare quindi chiaro il motivo che ha spinto il governo cinese a finanziare il film e a promuoverlo con sforzi giganteschi sul mercato occidentale, fino alla vittoria a Venezia. Il regista e la prima attrice erano già noti ai cinefili come magistrali interpreti del cinema asiatico, e con questo film entrarono nel grande mercato cinematografico mondiale, con ingresso trionfale a Hollywood.
IL SENTIMENTO POPOLARE DELLA GIUSTIZIA
C’è qualcosa in questa storia che va al di là della volontà propagandistica della Cina maoista e riporta la scrittura all’attenzione della critica letteraria. Chen Yuanbin, laureato in legge, punta il dito contro un certo paternalismo col quale si gestiscono i rapporti tra società civile e giustizia: il sentimento popolare continua a fondare le sue radici nella tradizione, e si mostra impermeabile verso il modello giuridico proposto dallo Stato. In una narrazione asciutta, a tratti persino povera, emerge la volontà di affermare il diritto alla gentilezza, alla correttezza, alla difesa dell’umanità: un capo villaggio dovrà anche essere severo, ma non può trattare la sua gente come bestie.
Chiedere scusa diventa così la rivendicazione di un vissuto interiore negato dalle norme, soffocato da un lavoro che lascia spazio alla nutrizione, al sonno e a poco altro. A tutti i superiori Qiu Ju dice senza mezzi termini che non ne vuol sapere di articoli e commi di legge, lei vuole solo le scuse di chi l’ha offesa, per sentirsi degna di fronte a se stessa e alla comunità in cui vive, e se la legge non le dà questo tipo di giustizia, allora legge non è.
IL REALISMO LETTERARIO CINESE
“La storia di Qiu Ju” è una lettura obbligata per chi voglia seguire le evoluzioni della storia e della letteratura in Cina negli ultimi 50 anni. La scrittura di Chen Yuanbin rappresenta un tipico realismo comunista, che fissa alcuni paletti ben presenti ancora oggi : dialoghi rapidi e realistici, nessuna citazione culturale, descrizioni didascaliche, nessun cedimento all’interiorità e alla riflessione.
Se la letteratura deve essere di popolo, non c’è tempo per sentimentalismi e filosofie, il primo comandamento da seguire è la semplicità e l’essenzialità, come si addice a chi vive di zappa e sudore. Ovvero a tutti, poiché il lavoro nei campi, si sa, in Cina è stato obbligatorio per gli studenti, fino agli anni ’90. Ad esempio, dopo aver prodotto la sua prima denuncia, Qiu Ju esce finalmente all’aperto. Noi immaginiamo a questo punto una riflessione, un pensiero, una descrizione, invece questo è quanto ci dice lo scrittore:
“Una volta fuori, alzò il capo verso il cielo e un raggio dell’ultimo sole la colpì in volto provocandole un irrefrenabile prurito al naso che la fece scoppiare in uno sternuto”.
Da allora la letteratura cinese post rivoluzionaria ha compiuto molta strada, ma il forte realismo, seppur più volte rivisitato, è ancora alla base delle narrazioni.
(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)
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