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quella metà di noi

Quella metà di noi

Autore: Paola Cereda

Editore: Giulio Perrone Editore

Categorie: Libri | Lina Morselli

Cari lettori, oggi Lina Morselli ci parla di “Quella metà di noi“, romanzo di Paola Cereda, edito da Giulio Persone Editore. “Una storia coraggiosa, figlia del nostro tempo, cosciente che ancora c’è tanto da dire e fare: libertà, autonomia ed emancipazione sono di genere femminile, per la grammatica, ma non completamente realizzate per il genere femminile della nostra società.”

Questo è un libro che parla di donne, ne parla diffusamente, con cognizione di causa. Per questo consiglio di regalarlo agli uomini: potrebbe fornire loro un aiuto determinante nel rispondere all’annosa domanda: ma in fondo, cosa vuole una donna?

LA DONNA DOPO LA PENSIONE

E’ la domanda che si pone e ci pone Matilde Mezzalama, sessantacinquenne insegnante elementare in pensione, vedova, che ha cresciuto da sola una figlia. La pensione, raggiunta per il rotto della cuffia tra le pastoie e i pantani delle moderne riforme, le ha consentito di contare su un buon gruzzolo, che si somma alla proprietà di una casa, in un quartiere semiperiferico e non proprio signorile, ma ben tenuta. Eppure Matilde decide di tornare a lavorare, e non le resta che diventare badante dell’anziano semi paralizzato Giacomo Dutto, senza figli, ma con una moglie dedita al gioco d’azzardo e un’inserviente rumena, perennemente in lotta fra loro. Ma chi glielo fa fare a Matilde di sopportare ogni giorno, domenica mattina compresa, il viaggio verso la casa nel pieno centro di Torino, le fatiche che spezzano la schiena, le pazienze bibliche? In fondo è piena di soldi, come le ripete la figlia, che invece è in serie difficoltà economiche e assilla la madre con una pressante richiesta di salvataggio bancario: in fondo le servono solo settantamila euro, e se proprio volesse conservare un po’ di contanti, la madre potrebbe vendere l’appartamento e trasferirsi in uno più piccolo e più comodo. Ma qui emerge l’altra metà di Matilde, quella che non osa confessare a nessuno, così come accade ad ognuno di noi col proprio segreto nascosto: Matilde non ha più un soldo, ha speso tutto per inseguire un progetto: aprire un albergo in un Paese lontano insieme ad un uomo. Sissignori, un uomo, molto più giovane di lei, straniero quanto basta per profumare di esotico e attento dove tutto il mondo è stato distratto, perché lui la vede ancora bella, desiderabile, donna, e Matilde gli crede. Perché non dovrebbe? I loro incontri resistono al tempo, non fanno strepiti, e poi lui dirige un piccolo albergo a Torino, dove possono vedersi con tranquillità e discrezione. Così i gesti si accompagnano alle parole, che non indugiano sul passato, ma come in ogni amore che si rispetti si rifugiano nel futuro, fanno progetti, si prendono una fetta di eternità. Nasce così l’idea di una nuova vita, che Matilde ritiene in diritto di avere: senza chiedere nulla a nessuno asciuga il conto corrente e può partire la ristrutturazione di un albergo in un centro città lontano, come in un nuovo anno zero. Ma qualcosa va storto (e quando mai tutto è andato per il meglio?), lui parte, ma Matilde non lo raggiunge ed eccola sola, in bolletta, con la casa già venduta e di cui gode solo un usufrutto e la figlia a rinfacciarle un granitico egoismo con ferocia mista a ricatto morale:


“Tu esisti per soddisfare i miei bisogni, per vivere una vita secondaria. E’ a questo che servono le madri”.


UNA MADRE E UNA FIGLIA

Matilde non piange, ricaccia le lacrime senza scenate e ha un solo grande problema: dire tutta la verità alla figlia, trovare il coraggio di mostrare quella metà nascosta, ovvero lei donna, con tutto il carico che questo comporta. Matilde non ha sognato con il suo ultimo amore, Matilde ha progettato. Non è caduta in una trappola, lei ha “voluto”, scientemente, correre il rischio. Non ha ceduto, mai, alla vita stantia di una pensionata, lei ha continuato a credere di poter fare delle cose, con la precisa volontà di realizzarle. Quindi: perché dovrebbe sentirsi in colpa e definirsi egoista? Essere madri significa annullarsi nei figli, sacrificarsi, continuando a scusare e giustificare tutto e tutti tranne se stesse? Possedere e dimostrare il senso materno comporta perdere la propria natura e la propria identità? La figlia risponde sì a tutte queste domande, la madre grida il suo no. 

TORINO E LA SUA GENTE

Quanto detto potrebbe forse bastare a tratteggiare una storia magistralmente condotta, con uno stile che sa essere scarno e barocco, malinconico e rabbioso, comico e stoico. Ma Paola Cereda ci stupisce anche con una serie di personaggi degni della migliore tradizione veristica italiana: oltre a quelli già citati, compaiono le comparse, le seconde voci di una coralità che si armonizza lungo tutto il romanzo, si svela in più punti, arriva al proprio acuto per poi tornare a formare un unico suono di fondo. 

Un coro, quindi, con le sue varietà di timbri vocali e Matilde cantante solista, ma attenzione, la direttrice Cereda ha ancora un asso nella manica: il basso continuo di Torino, le sue piazze, le sue vie, il suo centro maestoso e le periferie che accolgono e pulsano di una vita mai stanca, Torino che sempre resta sulla scena, con discrezione, ma con la giusta cocciutaggine di una padrona, che offre sì le sue stanze agli ospiti, ma vuole comunque sapere cosa accade in casa sua. 

DUE PAROLE DI COMMENTO

Il finale, come sempre, non lo svelo, ma posso assicurare che stupisce, e non può essere altrimenti, per una storia coraggiosa, figlia del nostro tempo, cosciente che ancora c’è tanto da dire e fare: libertà, autonomia ed emancipazione sono di genere femminile, per la grammatica, ma non completamente realizzate per il genere femminile della nostra società. Le donne sono grandi esperte di strade in salita, a qualunque latitudine e in qualunque condizione sociale, e ben conoscono la forza dei sensi di colpa, della storia fatta dagli uomini, del peso della solitudine. Manca sempre qualcosa per sentirsi a posto con se stesse e col mondo, soprattutto quando il mondo continua a negare, a nascondere, spesso a condannare la nostra scomoda ricerca di quanto ci fa stare bene. Viviamo in tempi in cui si riaffacciano i processi alla morale, si fanno le pulci alle parole, si arriva a scambiare per egoismo ed intolleranza la propria necessità. E così riprende fiato un rigore oscuro, che inevitabilmente ricade sulla vita di tutti, uomini e donne, giovani e anziani. Meno male che al momento giusto compare Matilde Mezzalama, meno male che ci sono scrittrici come Paola Cereda, meno male che ci sono libri belli, che fanno discutere, come questo. 

 

(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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