«La disabilità fa schifo, ma la tua vita, nonostante la disabilità, fa schifo solo nella misura in cui tu glielo consenti».
Cari lettori, oggi voglio condividere con voi un libro che mi ha toccato profondamente, “Due come noi tre“ di Francesco Cannadoro. Non è semplice parlare di un libro che emoziona così tanto e, forse, è proprio questo il motivo per cui vale la pena condividere queste righe: è una storia che va oltre le parole scritte, un racconto che riesce a penetrare nell’anima di chi lo legge. È una lettura che ti fa riflettere sulla vita, sulle sue difficoltà, ma anche sulle sue immense bellezze, che si rivelano soprattutto nei momenti di prova. La forza di questo libro sta nel modo in cui racconta una storia di amore incondizionato e di accettazione delle sfide quotidiane, non solo come una cronaca di vita, ma come un invito a riflettere su ciò che davvero conta: le relazioni, l’empatia, il supporto reciproco e il coraggio di affrontare la vita, anche quando è difficile.
La storia che Francesco Cannadoro racconta nel suo libro non è la solita narrazione sulla disabilità di suo figlio Tommi. È un viaggio profondo e autentico che mette in luce la quotidianità di una famiglia che, pur vivendo con la disabilità, non si lascia definire da essa, ma sceglie ogni giorno di essere più forte di fronte alle difficoltà. Questo è il vero messaggio che emerge: la disabilità non è un muro, ma un’opportunità per scoprire una nuova forma di bellezza e di vita, fatta di piccole vittorie quotidiane, di amore profondo e di accettazione. La scrittura di Cannadoro è leggera, ma non per questo meno intensa. Riuscire a trattare temi così complessi con una narrazione che arriva dritta al cuore del lettore, senza sensazionalismi o drammatizzazioni, è una dote rara, che l’autore possiede in modo naturale.
Il libro diventa così uno strumento per sfatare i numerosi stereotipi che circondano il mondo della disabilità. L’autore, infatti, affronta temi delicati come la solitudine delle famiglie con bambini disabili, la burocrazia confusa e spesso opprimente che gravita intorno alla disabilità, ma anche l’importanza della comunicazione e dell’inclusività, per fare in modo che ogni individuo, a prescindere dalle sue difficoltà, possa sentirsi parte integrante della comunità. È un libro che invita a guardare oltre l’ostacolo, che parla di un mondo che, pur diverso, è altrettanto ricco e degno di essere vissuto appieno.
Francesco Cannadoro non è solo l’autore del libro, è soprattutto un padre, e come tale, ha saputo trasformare lasua esperienza genitoriale in un esempio di amore incondizionato. La sua storia è una testimonianza di quanto sia importante essere presenti, pazienti e consapevoli nella crescita dei propri figli, soprattutto quando la vita ti mette di fronte a situazioni inaspettate e difficili. E, forse, proprio per questo motivo ho deciso di regalare questo libro a mio marito per il suo compleanno. Non perché lui non sia già un ottimo papà, anzi! Ma perché, leggendo le pagine di “Due come noi tre”, ho pensato che potesse trovare un altro spunto, una nuova riflessione su come affrontare con amore e dedizione il ruolo di genitore per le nostre figlie. Credo davvero che dalle parole di Cannadoro, un genitore possa trarre la giusta ispirazione per crescere i propri figli con un amore ancora più profondo e consapevole. Le nostre figlie meritano, come tutti i bambini, di crescere in un ambiente dove l’amore sia il faro che guida ogni scelta, ogni gesto, ogni parola. E il modo in cui Cannadoro racconta la sua esperienza genitoriale, senza mai cedere alla retorica o alla commiserazione, è un modello che ogni genitore dovrebbe avere a cuore. Perché crescere figli felici, consapevoli e capaci di affrontare le difficoltà della vita richiede coraggio, pazienza e una presenza che non venga mai meno, nemmeno nei momenti più bui. Essere un genitore non significa solo fornire loro un rifugio sicuro, ma anche insegnare loro a vivere con consapevolezza, a trovare la gioia nelle piccole cose, ad accettarsi per quello che sono e a diventare adulti felici e realizzati.
Non basta “fare”, bisogna “essere”. Essere lì con l’anima, con la mente, con il cuore, per accompagnarli nel loro percorso di crescita, di scoperta e di realizzazione. Cannadoro ci insegna che l’essenza dell’essere genitori non sta tanto nelle risposte che diamo ai nostri figli, ma nell’ascolto che sappiamo offrirgli. A volte, non sono le parole a fare la differenza, ma la presenza, il supporto, l’accettazione di chi sono, con tutte le loro unicità e fragilità.
Cannadoro sottolinea che la sua intenzione, attraverso il libro, è quella di far conoscere un aspetto della vita che, purtroppo, rimane ai margini del dibattito pubblico e per mostrare che dietro alle difficoltà c’è una famiglia che, pur affrontando le sue insidie, è comunque una famiglia normale.
Francesco Cannadoro è molto attivo sui social attraverso la pagina diariodiunpadrefortunato e l’apprezzamento non manca, infatti sono migliaia le persone che seguono la vita della Famiglia Cannadoro e qui sta il bello, perchè la vera esperienza è quella che nasce dal confronto, dalla possibilità di imparare gli uni dagli altri. Questo è l’obiettivo del suo progetto: un invito a superare le divisioni e a costruire un mondo più inclusivo e solidale, dove le famiglie che vivono la disabilità possano sentirsi supportate, non solo da enti o istituzioni, ma anche dalle esperienze concrete degli altri, in una sorta di comunità virtuale e reale che si aiuta a vicenda.
In sintesi, “Due come noi tre” è un libro che non solo racconta una storia familiare, ma offre a tutti noi, genitori, figli, e lettori, uno spunto di riflessione per vivere meglio, per essere più presenti, più consapevoli e più aperti all’amore in tutte le sue forme. È una lettura che consiglio a chiunque abbia voglia di emozionarsi, di riflettere, e soprattutto di guardare alla vita con occhi nuovi. Con gli occhi di chi, come Francesco Cannadoro, ha imparato che, anche nelle difficoltà, la vita è sempre bella, e che l’amore è l’unica cosa che conta davvero.
“Siamo insieme da tredici anni e ancora non ci credo che tu sia la famiglia che sognavo da ragazzino, piangendo sotto le coperte, nella mia stanza, in comunità. O su una panchina, qualche anno dopo, quando non avevo un tetto sopra la testa, ma un cielo ostile, nonostante fosse pieno di stelle meravigliose. Non potevo visualizzare il tuo viso ma, quando abbiamo deciso di provare a essere una famiglia e ho cominciato a sentire le prime emozioni, ti ho riconosciuto subito”.
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