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due vite

SPECIALE PREMIO STREGA: Due vite – Emanuele Trevi

Autore: Emanuele Trevi

Editore: Neri Pozza

N. pag: 144

Anno: 2020

Valutazione: 5/5

A cura di: Luca Bovino

Non soltanto romanzi. Quest’anno la cinquina dello Strega contiene anche un testo biografico, come quello qui in rassegna, dove Emanuele Trevi si cimenta nel tentativo di volgere la vita di due letterati nella parabola di due pseudo personaggi letterari.

Inventio

Il libro è dedicato idealmente ai due protagonisti del testo, le cui vite, le cui opere, le cui vicende vengono messe a confronto dall’autore, intimo amico di entrambi. Ma com’è possibile descrivere due vite? Nell’unico modo in cui è possibile descrivere qualsiasi cosa: costruendo differenze e relazioni, complementi e contraddittori, opposizioni e omologie. Si può fare solo in questo modo? Sì, pare proprio così. Non esistono più le ontologie, la scienza ha definitivamente rinunciato a qualsiasi velleità di raggruppare gli elementi del mondo secondo una rigida e metafisica raccolta di proprietà, o sostanze. La teoria dei quanti ha messo pateticamente in mostra come ogni cosa richiami il suo contrario, per cui di ogni assunto anche il suo contrario è sempre altrettanto vero. E ogni osservazione è sempre influenzata dalle caratteristiche dell’osservatore e dell’osservazione. Tal che l’oggettività, in definitiva, non esista. 

L’autore di questo libro sembra esserne pienamente consapevole, anzi, talvolta appare smaccata, e persino provocatoria, l’operazione di parlare simulatamente dei due protagonisti, per dissimulare il tentativo di parlare sempre di sé stesso, e del suo modo di parlare. 

Il lettore ha due compagni di viaggio, nelle cui gesta guada alla ricerca di un senso che l’autore sembra ogni tanto promettere, e ogni tanto premettere che non esista. Eppure già dai loro nomi sembra emergere un’ominosa quanto poetica evocazione. 

Si chiamano Rocco Carbone, e Pia Pera e sono stati due protagonisti della recente vita letteraria nazionale. Sono stati autori di romanzi e traduzioni pubblicate per i principali editori italiani, e appartenevano a pieno titolo al mondo delle lettere e dei concetti. Il titolo del libro, Due Vite, richiama già l’infausto contrario del suo significato: due morti. Entrambi gli autori, purtroppo, non sono più con noi, strappati alla vita ben prima che la loro traiettoria creativa fosse conclusa.

Però i nomi: due distinte allitterazioni. 

Rocco Carbone duplica un rotacismo severo e una vocalità chiusa, austera, solenne, aspra e spigolosa.

Pia Pera, invece, ridonda di palatali ed esprime una vocalità squillante, musicale, emozionale, realistica.

Curiosamente l’autore non lo dice, ma la fenomenologia dei loro caratteri non sembra allontanarsi troppo da questo diagramma. Rocco sarebbe esperto “nell’arte di guastarsi il sangue per futili motivi”, esprimendosi attraverso frasi dalle quali parrebbe “escluso ogni riflesso emotivo”. La sua principale infatuazione è stata la semiologia, e poi la psichiatria, trasfuse nel severo rigore formale delle proprie costruzioni poetiche. La sua ossessione, invece, è stata a lungo la consapevolezza delle precarie origini sociali, e il timore dell’inadeguatezza del proprio tenore di vita rispetto ai colleghi del bel mondo letterario tra le cui preoccupazioni quella economica era totalmente assente. Il nostro autore ci informa di appartenere a questa fortunata cerchia, come talvolta Rocco non avrebbe mancato di far presente.

Di contro, Pia era tutt’affatto che votata allo scientismo, del tutto priva di preoccupazioni economiche, indulgeva al realismo piuttosto che all’astrazione, al linguaggio erotico in luogo di quello concettuale, al romanzo russo rispetto allo strutturalismo francese.

Come non leggere in questo contrappunto un chiasmo morale e sociale, intorno al quale l’autore riproduce e riordina i ricordi dei propri amici. Da un lato la solidità economica dall’altro la rigidità morale, e dall’altro lato del quadrato la mutevolezza espressiva, e infine la fragilità esistenziale.

Pia era un essere amabile, e appassionato; Rocco un animale collerico e disincantato.

Pia ebbe una disavventura legale quando tentò di riscrivere il capolavoro di Nabokov ponendo come io narrante la stessa Lolita (la cosa non fu gradita all’erede del russo, che diede mandato agli avvocati e ottenne il ritiro dell’opera dal mercato). Quindi, si trasferì in campagna, ereditando un podere familiare e dedicò l’anima e il corpo alla cura dell’orto e del giardino, con disappunto dell’autore che, da amico, non comprendeva le ragioni di quel ritiro sociale, di quel ritorno alla natura (anche se non di quello si trattava, ma di una forma come un’altra di cultura).

Di Rocco perse le tracce per alcuni anni, seguendone a distanza le gesta, ed apprezzandone i successi editoriali, cui indusse una conquistata notorietà letteraria e una apprezzabile stabilità economica. Tuttavia, un inspiegabile sentore di amarezza per averne reciso i ponti fu per il nostro narratore il motivo di un’irrazionale distanza che con l’amico di un tempo impedì il risarcimento integrale dell’intimità. E questo sentimento fece presto a diventare senso di colpa. Dopo la morte di Rocco, fu come se qualcosa di inespresso, inconcluso, irredimibile fosse rimasto nella vita dell’amico superstite, turbandone ogni notte i sonni, come un fantasma. E solo la trasposizione letteraria del ricordo avrebbe potuto ristabilire, sanare, curare l’anima afflitta da quello spettro, come da un morbo.

Scrivere di una persona reale e scrivere di un personaggio immaginato sarebbe, in fin dei conti, la stessa cosa, ci informa l’autore. Una frase che sembra quasi un’apologia della propria opera.

Qui forse c’è il limite principale di questa iniziativa: Rocco e Pia saranno anche diventati dei personaggi, ma non sono riusciti ad ottenere una storia. Non hanno un sistema di attese impossibile e verosimile nel quale intrecciare e poi svolgere peripezie e agnizioni, per poi concludere in necessità e imprevedibilità la propria traiettoria narrativa. Rocco e Pia saranno anche diventati dei personaggi, ma non hanno avuto dall’autore quello che ogni personaggio romanzesco cerca: una storia.

Voto 6,5

Elocutio

Il linguaggio del libro è quello del suo autore. Anche se si tratta di un testo che parla di altri testi, e di un libro che parla di altri libri ed altri autori, le citazioni sono pochissime e contenute. Così come contenuta è la prosa dell’autore, che mantiene limitata e sporadica l’estroversione espressiva, muovendosi sempre in un registro piano e moderato.

Qualche sinestesia ci ha lasciato sorpresi, come la descrizione di via Santo Stefano del Cacco a Roma, dove “il tempo si stende come una muffa”, oppure a proposito dell’affaire Lolita nel quale Pia si trovò “impaniata per lunghi anni”, ma di contro c’è anche un angelo con la spada infuocata, che, ci informa l’autore, è “il più incazzato e inflessibile degli angeli”.

Non ha paura di sporcarsi le mani, l’autore, per modellare la sua penna in modo da consentire di riemergere a ricordi dolorosi e cupi, come sono un po’ in fondo tutti i ricordi. Chi legge il testo alla fine comprende che l’esperimento letterario dell’autore è anche un espediente terapeutico, per redimere il proprio insopprimibile individualismo mitopoietico e autoreferenziale attraverso la purga di un omaggio al ricordo di due amici. E salvarsi l’anima, e ritornare a guardarsi allo specchio senza contare le rughe che un rimorso inespresso gli vergasse ogni giorno in volto.

Interessanti le metatestualità, i riferimenti, le succinte recensioni dell’universo letterario nel quale i personaggi attingevano le proprie opere.

Inevitabili le riflessioni sulla stessa letteratura e sui rapporti controversi che ha con la scienza. Quest’ultima deve “astrarre, ridurre la molteplicità dei casi e dei sintomi e delle costanti, creare delle definizioni” (il riferimento, in particolare, è alla scienza psichiatrica, ma va bene per qualsiasi dottrina); di contro “la letteratura deriva la sua stessa ragion d’essere dal rifiuto di ogni generalizzazione: è sempre la storia di quella persona, murata nella sua unicità, artefice e prigioniera della su singolarità”.

Una prosa tutto sommato vivace, frizzante, attiva e stimolante, nonostante il tema cupo che l’accompagna. Che trova nella prosa un accompagnamento adeguato, senza indulgenze, e senza troppi compiacimenti, conducendo il lettore nel tortuoso cammino di una vicenda umana. Anzi di due.

Voto 7,5

Dispositio 

Il libro è ordito in una serie di capitoli che si alternano nella descrizione aneddotica e sintagmatic di vicende biografiche che riguardano ora l’uno, ora l’altra dei due protagonisti del racconto.

Ma non è tanto la giustapposizione, per altro verso inevitabile quando si abbiano di fronte due riferimenti, a dare la cifra dell’opera.

È piuttosto il fatto che si tratti di capitoli sempre autoconclusivi, completi, sempre esaustivi in rapporto al testo. Colpisce questa loro capacità di poter essere letti in qualsiasi momento, riuscendo sempre ad essere decontestualizzabili. Nonostante le limitatissime trovate cataforiche del testo, ogni capitolo è realizzato come se fosse una recensione dei due autori, un elzeviro della loro creazione, un compendio delle salienze della loro opera.

Il lettore potrebbe anche estrapolare un solo capitolo ed avere una visione completa del libro senza leggere gli altri; o per meglio dire, potrebbe godere della lettura di ciascuna parte anche senza doverne per forza leggere le precedenti o le successivi.

C’è un tratto frattale, o caleidoscopico, nel disporre gli eventi nel libro che lascia quasi di stucco. Ogni parte è un paradigma del tutto, ogni frammento sembra una metafora dell’interno, ogni sezione un’omologia dell’insieme.

Questa è forse la caratteristica più forte del libro, più del contenuto (che resta un romanzo senza storia), più dei protagonisti (che rimangono delle proiezioni dello scrittore), più del linguaggio (che continua a creare senza descrivere e descrivere senza creare) è soprattutto la condensazione dei contenuti in una materia estremamente densa, estesa e capace a fare la differenza, a dare spessore.

È questo che rende estremamente autentica la resa del testo, dove ogni brano parla sempre di sé. Come se il racconto altro non fosse che una raccolta di esercizi di stile, di variazioni sinfoniche, si alternative espressive di un unico e costante tema poetico, che può essere assunto in qualsiasi momento, in qualsiasi punto, e in qualsiasi formato, rimanendo sempre inalterato. E non è affatto semplice.

Voto 8

Voto finale: (media degli altri voti con opportuni arrotondamenti) 7,5

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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[SEGNALAZIONE]: “Sotto lo sguardo di un Dio indifferente”

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