Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci accompagna in un meraviglioso viaggio in terra olandese grazie al romanzo “Un Faraone d’Olanda” di Kader Abdolah, edito da Iperborea.
Kader Abdolah, iraniano per nascita, viene considerato uno dei massimi autori viventi di lingua olandese, e vorrei partire dalla traduzione dall’olandese di Elisabetta Svaluto Moreolo, storica traduttrice di Kader Abdolah e da lui stesso più volte celebrata ed apprezzata. Quando un traduttore affronta molti testi dello stesso autore, si stabilisce fra i due un’affinità unica nel suo genere, dove la componente amicizia non potrebbe essere tale senza una singolare ricerca di un terreno comune, di una diversità che reciprocamente si arriva a comprendere fino a farne quasi uno specchio per entrambi. Questo libro raggiunge tale compiutezza, in un viaggio linguistico ed umano partito dal 2008 con la traduzione del primo libro di Abdolah, “Il viaggio delle bottiglie vuote”, quando, a detta dell’autore stesso, appena masticava un po’ di olandese. Eh sì, in letteratura càpita di imbattersi in questo tipo di miracoli. Evviva!
LA TRAMA E MERNEITH
Il professor Herman Raven, il più importante egittologo d’Olanda, è talmente immerso nella sua passione da assumere il secondo nome di Zayed Hawass. Ora ricorda solo quel nome, e un segreto, nascosto nella cantina di casa sua. Il professore è vedovo, ha una figlia, Merie, e un genero amorevoli, due vivaci ed affezionati nipotini, la signora Anneke si prende cura di lui, e ha Abdolkarim Qasem, il suo grande amico e coetaneo. Abdolkarim, egiziano, ha lavorato tutta la vita costruendo lavatrici vicino all’Aia, è divorziato da una donna olandese e il figlio, Jamal, funzionario della Shell, è in procinto di trasferirsi negli USA. Abdolkarim e Herman/Zayed sono in simbiosi, si sostengono a vicenda, il professore apre all’amico operaio le porte della storia, gli fa conoscere la letteratura attraverso un romanzo di Nagib Mahfuz trovato in un mercatino dell’usato, arriva ad affidargli copia delle sue chiavi, in previsione di difficoltà in vecchiaia, quando la memoria comincia a fare cilecca. Va da sé che Abdolkarim e Zayed condividono il segreto: nella cantina di casa Raven è custodita la mummia di Merneith, la grande regina prediletta dal dio Toth, il dio della sapienza, con tanto di cartiglio geroglifico a testarne l’autenticità. Abdolkarim è sì un operaio in Olanda, ma in Egitto è cresciuto col padre restauratore di libri antichi, così per lui è facile aiutare l’amico a trasformare la cantina in una vera tomba egizia, con tanto di affreschi e scritte geroglifiche, insomma un degno rifugio per una donna così importante e per giunta ancora adornata dai gioielli della sepoltura. Tutto fila liscio per una vita, finchè, vecchi entrambi, scoprono di avere lo stesso incubo: feroci coccodrilli a fauci spalancate li inseguono e li terrorizzano, quindi capiscono che i coccodrilli, guardiani di Merneith, vogliono che la sua mummia ritorni in Egitto, perché ognuno ha il diritto di tornare a casa. La storia quindi continua seguendo le vicissitudini, gli incontri, le difficoltà e le incredibili (ma realistiche) vicende che i due amici affrontano per riportare in Egitto una mummia dentro il suo sarcofago, ben coscienti di rischiare una grave denuncia, e di mettere a rischio la serenità dei propri familiari. Saranno tentati da promesse di facili e sicuri guadagni, rischieranno di cedere ai suggerimenti più o meno opportuni di familiari e funzionari, si rivolgeranno al direttore di un famoso museo e persino all’ambasciatore d’Egitto in Olanda. Ma sempre prevarrà la granitica decisione di riportare Merneith a casa sua. L’ultimo passo, quello decisivo, spetterà ad Abdolkarim, dopo la morte del suo grande amico Zayed, vinto dalla vecchiaia e dalla demenza senile. Il restauratore di libri, l’operaio egiziano legato da un’incrollabile amicizia al professore fiammingo, prenderà per mano l’antica regina, e condividerà, con lei e con i suoi coccodrilli, il bisogno imperativo di tornare in Egitto, a casa loro, al loro punto di partenza. Ai lettori il piacere di scoprire come andrà a finire.
IL PESO DELLA LETTERATURA
Zayed e Abdolkarim sono uno nell’altro, l’abbiamo già detto, ma entrambi trovano forza e ragion d’essere anche al di fuori di loro, e proprio qui sta la magia, l’atmosfera spesso fiabesca che permea tutta la storia. Zayed è sostenuto dal suo unico cedimento alla bellezza e al mistero, rendendosi colpevole di un furto ingiustificabile agli occhi del mondo, ma prendersi cura della mummia della più importante regina dell’Egitto arcaico è stata la sua vera ragione di vita, soprattutto quando le forze venivano meno, quando la fine camminava alle sue spalle. Abdolkarim lo capisce, e a sua volta cerca e trova sostegni degni della situazione: l’amato romanzo di Mahfuz (Il ladro e i cani), una poesia imparata a memoria, che lui recita in arabo egiziano, ma che in realtà appartiene a Rainer Maria Rilke, e che l’amico Zayed gli passa in traduzione inglese (“Go to the limits of your longing…), e “Il vecchio e il mare” di Hemingway (se ce l’aveva fatta quel vecchio suo coetaneo, anche lui sarebbe riuscito nel suo intento).
LA VECCHIAIA
Poi c’è la cornice dell’intera storia, quasi il suo contenitore: la vecchiaia, con i suoi annessi e connessi, e con lei la morte, passaggio obbligato per ogni essere umano. Il decadimento fisico non è che uno strascico del vero ostacolo alla vita attiva: la memoria che se ne va, l’energia mentale che vacilla, la spinta vitale che vorrebbe arenarsi come una nave in secca. Tutto è vissuto secondo la convinzione ineluttabile che a tutti tocca passare per quel collo di bottiglia, ma non per questo si è autorizzati a subire. E allora i due amici premono sull’acceleratore dei giorni per portare a termine le loro volontà, sia nei confronti di Merneith, sia nei confronti del loro proprio e profondo sentire, verso i figli, le mogli, i nipoti, e verso se stessi. Herman/Zayed affronta il suo segreto e sfida fino all’ultimo la resistenza della sua memoria a brandelli; Abdolkarim continua nell’impresa, arrivando a farla coincidere con il suo vero, profondo, assoluto rimpianto che si fa desiderio, ovvero il ritorno a casa, al suo villaggio natale in Egitto.
L’AMICIZIA
Infine: l’amicizia. Nulla sarebbe possibile se non ci fosse questo fortissimo sentimento, non solo fra i due protagonisti. Qui l’amicizia si tocca anche nei rapporti fra i figli dell’uno e dell’altro, fra i due anziani e le persone che incontrano ogni giorno, persino fra gli umani e l’ambiente che li circonda. I Paesi Bassi consentono sicuri e comodi spostamenti a piedi o in bici, e il corso del Vliet, piccolo fiume canalizzato, può diventare un punto di riferimento simile ad un porto sicuro, per la stanca memoria di Zayed e per la sensibile natura di Abdolkarim, di origini desertiche, eppure legato all’acqua nordica e alla vita verde della sua seconda patria. E’ grazie all’amicizia che la parola data a Merneith e ai suoi coccodrilli viene mantenuta, ed è grazie alla stessa amicizia che due mondi si incontrano, scoprendo di non essere poi così lontani e diversi.
KADER ABDOLAH AL FESTIVALETTERATURA
Kader Abdolah, protagonista di un affollatissimo ed appassionato evento all’ultimo Festivaletteratura di Mantova, è entrato nelle pieghe e nelle motivazioni di questo suo ultimo romanzo, volutamente lontano dall’Iran per un suo desiderio di raccontare altro, dopo aver tanto indagato sulla sua terra d’origine. Messo da parte il suo passato vorticoso e tormentato, oggi il protagonista è il suo presente: una lingua aliena diventata intima, un paesaggio europeo amato quanto quello persiano, un’età che si fa pesante e lenta e proprio per questo oggetto di riflessione e di nuovi spunti vitali, un esilio che si scopre capace di crescita e scoperte fino ad essere pensato come una fortuna e una ricchezza, una madre rimasta in Iran e oggi con la memoria appena sufficiente per non voler morire senza prima aver rivisto Kader, uno scrittore entusiasta della sua vita ma perennemente in colpa per essere, lui, felice, mentre tutta la sua famiglia è assoggettata ad un regime che distribuisce solo umiliazioni al suo popolo. E un unico grande messaggio ai giovani (tanti!) presenti: andate in giro per il mondo, muovetevi, uscite dai vostri confini, crescete e diventate adulti. Grazie, Kader Abdolah, grazie.
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