Cari lettori, oggi la nostra Lina Morselli ci parla de “Il sale” di Jean-Baptiste Del Amo ed edito da Neo Edizioni.
Il titolo è riferito al sale del mare, nume tutelare, dittatore, padrone, sfondo imprescindibile e presenza arcana nelle vite dei protagonisti. Ma potrebbe essere il sale della vita, dell’amore, dell’eccesso, il sale della memoria, il farmaco che salva o il veleno che corrode.
LA TRAMA
Louise, sessantanovenne, ha tre figli e 4 nipoti, e li vuole riunire per una cena. Questo il pretesto narrativo che accompagna la madre e i figli in un cammino a ritroso: i ricordi delle proprie vite, dall’infanzia al presente, riaffiorano grazie a gesti, odori, immagini della giornata, si sovrappongono agli eventi e alle emozioni che hanno segnato la vita ora di uno ora dell’altro. Jonas, il figlio più giovane, ripercorre la scoperta e il vissuto della sua omosessualità. Fanny, l’unica figlia femmina, assiste impotente allo sfilacciarsi del suo matrimonio e del rapporto con suo figlio, perché non riesce ad uscire dalla tragedia che l’ha vista protagonista e responsabile della morte della figlia adolescente. Albin, il figlio maggiore, resta intrappolato nel dovere di somigliare al padre e nel suo tentativo di affrancamento, senza accorgersi della sterilità dei suoi rapporti famigliari, che conducono al divorzio e alla separazione dai figli.
Su tutto e tutti, Armand, il padre padrone, pescatore, di origine italiana. Armand muore precocemente, di una malattia altamente invalidante che spegne le sue energie fisiche e morali, ma vive quanto basta per segnare la vita di tutti, in una spirale di violenze verbali e angherie di varia natura su tutti i figli e sulla moglie, Louise, che pur capendo, vedendo e soffrendo, non riesce a reagire. Per questo, ben presto, i figli si allontanano, per questo non riescono mai a sentirsi liberi e in pace con se stessi, per questo hanno tutti qualcosa da rinfacciare alla madre, per questo non vivono serenamente la loro dimensione umana e genitoriale.
Alla fine la cena si farà, ma non verrà descritta: il libro termina sulla soglia di casa, quando tutto è pronto e la tavola è imbandita, e i figli, incerti fino all’ultimo, si ritrovano lì, con la madre, ancora a guardarsi, a tentare di capirsi, ad andare comunque avanti, perché a quello non c’è alternativa.
LA STRUTTURA NARRATIVA
La struttura narrativa è studiata per esaltare e affrontare al meglio il grande lavoro di scavo psicologico e il grande sfoggio di profonda competenza emotiva dell’autore. In una prima parte, i capitoli sono affidati al racconto, in prima persona, dei vari personaggi, in un rincorrersi di voci che ripercorrono spesso, l’una all’insaputa dell’altra, episodi condivisi, presentandoli in prospettive diverse, a seconda della sensibilità e dell’interpretazione di ognuno. La seconda parte del libro affronta nel dettaglio i movimenti e gli avvenimenti della giornata presente, quella della famosa cena di famiglia. Ancora più serrato si fa l’impianto del ricordo, con un’aggiunta importante: si ripercorre la storia di Armand, il terribile padre, che si scopre a sua volta vittima di una terribile infanzia, bambino in balia di una faticosissima fuga dalla guerra, obbligato a crescere troppo in fretta e annullato nei sentimenti e nella capacità di rapportarsi con gli altri. La terza parte, brevissima, lascia la battuta conclusiva ai personaggi principali: ognuno di loro ha a disposizione meno di dieci righe per accomiatarsi dal lettore, mettendo insieme le voci dei vivi e dei morti.
LO STILE LETTERARIO E I CONTENUTI
La scrittura non prevede momenti di pausa o di alleggerimento: il climax di inquietudine, disagio, angoscia, è chiaro fin dall’inizio e aumenta fino a diventare a tratti soffocante. Eppure la lettura scorre veloce, e mai viene meno lo stupore per la capacità miracolosa di scavare in ogni emozione, di chiarire ogni vissuto con tale puntualità e precisione da rendercelo famigliare, fino a permetterci un’immedesimazione a tratti persino imbarazzante con i vari personaggi, ci riconosciamo nelle loro debolezze, nelle loro difficoltà, nei loro problemi irrisolti. I primi ricordi dell’infanzia, non necessariamente ameni, il nodo intricato dell’adolescenza con la scoperta pesante della sessualità, l’onere delle scelte, che lasciano inevitabili e irrisolti sensi di colpa: sono gli ingredienti principali di questa storia complessa, che ci spiazza, ci fa ricredere sui nostri giudizi. C’è una verità, vera e crudele, che sembra guidare l’autore: ognuno spende ciò che ha precedentemente risparmiato, si mettono in pratica gli insegnamenti ricevuti, nel bene e nel male. Non si può chiedere pietà e comprensione a chi non le ha conosciute, né accumulate, né provate su di sé. Si può imparare di nuovo ciò che nessuno ti ha insegnato? E’ possibile, da adulti, correggere il proprio rapporto con se stessi e con gli altri? Cosa significa provare amore, dimostrarlo, unirlo al rispetto e alla comprensione? Credo che Del Amo ci ponga queste domande tanto quanto le pone a se stesso, senza arrivare ad una chiara risposta, e non potrebbe essere altrimenti: solo ognuno di noi deve avere il coraggio di definire ciò che ha vissuto e provato, e solo in seguito può riprendere in mano la sua vita e cercare un altro modo, migliore, per portarla avanti. Nel suo romanzo, così fanno i figli, con fatica, e la madre sembra trascinata nella stessa volontà di vita, consapevole di quanto ha amato e di quanto ha sbagliato.
LA SESSUALITA’
La sessualità, qui, ha un ruolo importante, ma mai assume un aspetto morboso. O meglio: tale diventa solo quando resta volutamente nascosta, quando è vissuta come un peccato, un’imposizione, una violenza. Accade con Armand, il padre, maschilista rabbioso e ottuso, eppure solito ad ospitare marinai con i quali tiene segreti rapporti fisici, sotto lo stesso tetto con moglie e figli. Accade con Louise, che si accorge di quanto sta avvenendo e non si ribella. Per il resto, la sessualità occupa lo spazio che la natura le ha affidato: enorme, nella vita di tutti noi, che dobbiamo fare i conti con pulsioni, fantasie, paure, sensi di colpa e goffi tentativi per affrontare i cambiamenti del nostro corpo e del nostro sentire. E Del Amo non si sottrae al dovere di essere esplicito, anzi, trova proprio qui una dimensione che arriva a tutti, perché ciò che conta non è la propria propensione sessuale, ma i meccanismi emotivi che la accomunano presso gli esseri umani, uomini e donne. Ciò che conta è la loro reazione al verbo “amare”.
VIRGINIA WOOLF
A pag. 151 si cita Mrs. Dalloway, di Virginia Woolf. A quel punto, molti lettori faranno un sorrisetto astuto: ci erano già arrivati, fin dalle prime pagine, ad accomunare la prosa e l’andamento narrativo di Del Amo a quello della gigantesca scrittrice inglese. Qui compare la stessa capacità di scrivere su un doppio binario, quello degli avvenimenti e dei pensieri che li accompagnano, senza escludere flussi di coscienza, flash back, distrazioni momentanee e ricordi improvvisi, proprio come nella scrittura (rivoluzionaria) della Woolf. Si ricorda così non solo quel suo celeberrimo romanzo, più volte ripreso anche da cinema e teatro, ma si ritrova la forza di “Gita al faro”, e i lampi riflessivi presenti in “Le onde”.
CONCLUSIONE
Questa è una lettura tosta. “Sale” è una parola polisemica, e qui i significati ci sono tutti, nessuno escluso. Alla fine, resta la sensazione di aver compiuto con fatica un viaggio veloce in vite altrui, simili alle nostre, di aver subito una sorta di obbligata riflessione su chi siamo veramente, di sentirci a tratti smascherati nelle nostre difficoltà con genitori, figli, coniugi. E ci sentiamo quasi sollevati all’ultima pagina, alla fine di una storia intensa che abbiamo letto con tensione e angoscia. Eppure si riprende il libro in mano, e ci si prepara a leggerlo per la seconda volta.
(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)
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