Cari lettori, la nostra Lina Morselli torna con la recensione del meraviglioso romanzo “Ruta Tannenbaum” di Miljenko Jergović, tradotto in italiano da Ljiljana Avirović per la casa editrice Nutrimenti.
Miljenko Jergović è nato a Sarajevo nel 1996, ma vive a Zagabria da così tanto tempo che a molti sembra croato. In effetti lui stesso non sa bene posizionarsi geograficamente, tanto che attualmente collabora con giornali croati, bosniaci e serbi, è membro dei PEN Club di Bosnia e Croazia e in un suo incontro a Trieste ha dichiarato di sentirsi ancora jugoslavo. Di certo è il più importante scrittore di quella vasta area che fino a poco tempo fa si identificava nella Jugoslavia, e ora è divisa in 7 Repubbliche, sulla cui identità potremmo discutere ore od ore. Almeno il mondo letterario appare comunque d’accordo nel ritrovarsi dentro la scrittura di Miljenko Jergović, tanto da avergli conferito, proprio grazie al romanzo “Ruta Tannenbaum”, il Premio Meša Selimović per il miglior romanzo scritto in lingua bosniaca, croata, serba e montenegrina.
CONTENUTI
Chi si appresta alla lettura di questo libro, dovrebbe partire dalla nota dell’autore, posta in coda alla narrazione: Ruta Tannenbaum in realtà non è esistita, così come non sono reali molte situazioni descritte nel libro. Ma in molte altre invece si trovano avvenimenti e personaggi che l’autore ha incontrato nei racconti della gente e nei documenti consultati, per una scelta narrativa che avrebbe voluto ripercorrere la vita di Lea Deutsch, giovanissima stella del teatro zagabrese, scomparsa a 16 anni nel 1943 perché ebrea. Di lei tutto è svanito nel nulla, ancora oggi chi ne sa qualcosa tende a non dire, e non è stato possibile un vero lavoro biografico. Allora ecco Ruta Tannenbaum, personaggio sì di fantasia, ma capace di ripercorrere il successo e la caduta non soltanto di una giovanissima promessa dello spettacolo, assassinata come milioni di suoi confratelli, ma qui anche pretesto per guardare la storia della Croazia dalla fine dell’Impero Asburgico all’occupazione nazista. Ben presto appare chiaro che ci si sente presi per mano, attraverso fatti storici e dettagli quotidiani verso la nascita degli odi razziali che hanno distrutto la Jugoslavia dopo la morte di Tito. Viene da lontano la furia che ha sterminato un’intera generazione e ha distrutto città, passando attraverso la follia ustascia e nazista. E come spesso accade, in una tragedia se ne annida un’altra: lo sterminio ebraico, che cancella una comunità incredula, a tratti persino lontana dalle proprie tradizioni e legata intimamente ai destini della Croazia, ma ben presto costretta a prendere atto che non conta nulla, dà fastidio, è colpevole, merita la morte. L’ascesa alla fama della piccola Ruta, precosissima stella del teatro, osannata persino in una tournèe viennese e per questo costretta a cambiare nome, subisce un’altrettanto fulminea caduta all’arrivo delle truppe naziste e chi l’aveva applaudita solo il giorno prima ora le passa accanto come se fosse invisibile. Nello stesso tempo, la violenza brutale degli invasori può contare sulla collaborazione di larga parte della popolazione croata, facendo proseliti tra ricchi e intellettuali, ma soprattutto fra coloro che colgono l’occasione di uscire da una vita anonima e grama, arrivando alla dimensione intima e pubblica di veri uomini semplicemente sgozzando senza pietà chiunque osi mettersi di traverso, o chiunque loro vogliano.
IL CORO DEI PERSONAGGI
Intorno a queste vicende, sempre oscillanti fra la grande storia e la storia di Ruta, si muove una miriade di personaggi, per ognuno dei quali lo scrittore non lesina dettagli. I genitori di Ruta, Salamon Tannenbaum e Ivka Singer, sempre divisi fra il timore di un pericolo oscuro e l’attaccamento alla vita della città; i vicini di casa, Amaljia e Radovan, dapprima inconsolabili genitori di un bambino che muore di malattia mal curata, per passare a custodi della piccola Ruta, fino ad arrivare alla rapida carriera di Radovan come ustascia tagliagole; e sopra a tutti Abrham Singer, il nonno di Ruta, l’unico che capisce il pericolo in arrivo, e terrorizzato vende il suo fiorente emporio per offrire a figlia, genero e nipote la possibilità di stabilirsi in America. Il vecchio Abraham morirà inascoltato, chiudendosi sempre più nel silenzio, col solo conforto di qualche anziano della comunità ebraica zagabrese, in una parabola discendente verso la morte che raggiunge toni lirici indimenticabili. Ma ci sono anche personaggi delle leggende ebraiche ben note all’interno della comunità e anche fuori, e medici compiacenti, teatranti falliti, attori e attrici ben disposti a cavalcare l’onda vincente e un capocomico disincantato quanto innamorato del teatro, cosciente del valore di Ruta ma alla fine incapace di salvarla.
ZAGABRIA
Storie e personaggi si muovono per Zagabria, a sua volta personaggio onnicomprensivo, più volte descritta, amata, sbeffeggiata, intrisa dal disincanto dello scrittore, capace di dimostrare tutto il suo amore per strade, piazze e palazzi, ma feroce nell’individuare le pecche, i difetti, le colpe dei suoi abitanti: “Zagabria si mostrava nel suo giovanile splendore, quello splendore da vecchio austroungarico, da scapolo bravo a far di conto ma vuoto d’animo, motivo per cui non si era mai sposato”.
STILE NARRATIVO E TRADUZIONE
Miljenko Jergović scrive in una prosa complessa, e nello stesso tempo armoniosa, ricca, con periodi lunghi pieni di incisi e deviazioni dall’argomento principale, e si serve di ”turchismi”. Ci vuole la bravura di Ljiljana Avirović per farci apprezzare queste acrobazie linguistiche. E davvero la traduzione magistrale raggiunge livelli altissimi, tanto da non poter essere relegata ad una semplice citazione. Applausi, dunque, alla traduttrice, triestina di lingua croata, già insignita nel 2002 del Premio Nazionale per la Traduzione.
(RECENSIONE DI LINA MORSELLI)
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