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Naufraghi senza volto – l’importanza di ridare dignità ai migranti

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E’ passata esattamente una settimana dall’incontro con Cristina Cattaneo, medico legale e antropologa, presso la scuola media di Arcore in occasione della presentazione del libro “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del mediterraneo” , edito Raffaello Cortina Editore. Le sue parole risuonano ancora nella mia testa e mi costringono a pensare a quello che i migranti vivono prima, durante e dopo, un viaggio in mare.

Mi ero ripromessa di aspettare a scrivere questo articolo fino a quando non avessi metabolizzato il racconto di Cristina Cattaneo. E’ passata una settimana e sento di non poter aspettare oltre a raccontarlo anche a voi.

Leggere “Naufraghi senza volto di Cristina Cattaneo è un pugno alla bocca dello stomaco, ad ogni pagina.

Il compito straordinario che questo libro riesce a svolgere è ridare umanità ad un concetto, quello di migrante, al quale guardiamo ormai con indifferenza e insofferenza, perché abbiamo creduto a qualcuno che ci ha detto che “vengono qua a rubarci il lavoro.”

I MORTI CHE “PARLANO”

Ognuno racconta il proprio vissuto, la propria sofferenza, ma sempre attraverso il filtro di chi ce l’ha fatta. Anche il più atroce racconto ha un tono diverso, se è riportato da un sopravvissuto. La vera angoscia e l’orrore del viaggio li possono raccontare solo i morti. E’ incredibile quanto riescano a raccontare di un viaggio sui barconi i morti.

LE DIFFICOLTA’

In “Naufraghi senza volto” Cristina Cattaneo introduce il racconto dell’identificazione dei migranti morti partendo dal presupposto che è già difficile identificare un cadavere di un italiano ritrovato in Italia. Lo è perché il sistema è inadeguato e spesso i rilievi fatti su un corpo trovato a Roma non possono essere incrociati con una denuncia di scomparsa sporta, per esempio, a Genova.

Il Laboratorio diretto da Cristina Cattaneo, il LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), lavora da anni proprio su questo: creare un database adeguato a incrociare i dati di chi viene trovato morto e di chi viene cercato come ancora vivo.

LA POLITICA DOV’E’?

Nel progetto di Cristina Cattaneo c’è un aspetto civile, ma anche un aspetto politico. Il LABANOF arriva dove la politica non è riuscita ad arrivare (o dove non ha voluto arrivare). Questo concetto lo ha spiegato bene durante l’incontro di venerdì scorso:

Io sono partita subito in quarta dicendo che questa era una discriminazione molto pesante di natura culturale. E in realtà ho un po’ questa conferma: è chiaro che ogni momento politico ha le sue convenienze e spinge verso determinate cose. È facile far scomparire decine di migliaia di morti se non hanno identità e se non si parla con i loro parenti. Mi sono un po’ ricreduta sulle motivazioni perché in realtà, mettendoci mano, è un’operazione molto difficile. Non è un’operazione costosissima, ma non è molto molto facile per quello che ho appena detto: ci vorrebbe la volontà di diversi Paesi soltanto nel diffondere le informazioni e nel collaborare tra governi. Stiamo vedendo che questo non è facile, non è impossibile, ma ci sono diversi scogli. È chiaro che se la cosa non la vuoi fare, al primo ostacolo ti fermi.

LA MORTE E’ SPESSO UN SOLLIEVO PER CHI RESTA

Paradossalmente l’accertamento della morte porta sollievo: aiuta ad elaborare il lutto, in primis, e assolve a tutta una serie di funzioni emotive, psicologiche e, non ultimo, burocratico-amministrative. Questo è evidente in numerose storie riportate nel libro e vissute in prima persona da Cristina Cattaneo: c’era un uomo, in Canada, che sapeva per certo che la sorella fosse morta in mare, ma senza l’identificazione e quindi senza un certificato di morte, non avrebbe potuto tornare in Somalia a prendere il nipotino e adottarlo legalmente.

Il mancato riconoscimento e quindi la mancanza di una conferma di una morte praticamente certa lascia sbigottiti, tristi, e non solo i parenti delle vittime ma anche gli stessi tecnici del LABANOF:

Lo vidi uscire dalla porta lento, con le spalle basse, e mi sentii altrettanto sconsolata. Aveva fatto tanta strada per avere almeno la certezza della sua morte. Non riuscire a dargliela sembrava l’ennesima beffa.

GLI OSTACOLI PIU’ GRANDI

Durante l’incontro di venerdì sera, Cristina Cattaneo ha condiviso con noi il suo pensiero riguardo ai veri ostacoli che incontra nel suo lavoro:

non c’è stato mai alcun ostacolo attivo, ma diciamo che l’inerzia e l’apatia possono essere un ostacolo enorme. Sono quattro anni che stiamo cercando di fare questa cosa e l’Europa è abbastanza sorda. L’Italia si è trovata da sola a gestire queste missioni, da sola e senza l’aiuto di chi è anche proprietario di queste frontiere a sud dell’Europa. E siccome si tratta di un diritto fondamentale sono rimasta molto sorpresa da questa inerzia dell’Europa nei confronti di questa problematica. L’inerzia e l’apatia sono forse uno degli ostacoli più grandi.

Chi sono

31 anni, blogger, agente letteraria e mamma di Gemma e Tessa. Credo fermamente nella bibliodiversità e nelle realtà editoriali indipendenti, le quali spesso nascondono perle di cui pochi sono a conoscenza.

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